Riavviare un dibattito critico sulle politiche sanitarie e sociali e sulle risposte concrete ed efficaci da dare alle differenti esigenze dei malati e delle loro famiglie. E' lo scopo del Forum sulla salute mentale nato da poco con l'obiettivo di dar vita ad un'associazione nazionale, e che ha organizzato due giornate di dibattito previste per oggi e domani a Roma. Ieri, la conferenza stampa introduttiva per fare il punto e presentare la nuova iniziativa: tra i firmatari del documento ufficiale, Franca Ongaro Basaglia, gli psichiatri Mario Novello, Giuseppe Dell'Acqua, Franco Rotelli, Maria Grazia Giannichedda, della Fondazione Basaglia e ancora Ernesto Muggia come rappresentante delle associazioni di familiari. Partendo dai problemi della salute mentale il Forum, si legge nel documento, «intende implicare immediatamente nelle discussioni e nelle iniziative tutti gli attori a vario titolo coinvolti nell'intero campo sanitario e nelle politiche sociali, ovvero operatori, amministratori, persone che si rivolgono ai servizi, familiari, associazioni, cooperative, privato sociale, volontariato nonché altri soggetti che per professione o per sensibilità incontrano problematicamente le questioni della salute mentale quali ad esempio insegnanti, professionisti diversi, magistrati, studiosi di diritto, artisti e persone impegnate nella lotta contro tutte le forme di esclusione e per il riconoscimento ed il rispetto dei dritti». Il problema è complesso e allo stesso tempo semplice: a 25 anni dalla legge Basaglia si pone «la questione della qualità dei servizi troppo spesso segnati da un imbarazzante dissociazione tra pratiche ed enunciazioni teoriche, tra principi e modelli organizzativi, tra risorse in campo e supporto alle persone per le quali i servizi esistono». La legge c'è e va bene, ma non è stata mai applicata in pieno, ora è tempo di concentrarsi sulla pratica, perché è con le esperienze quotidiane che si può e si deve dare una risposta forte. E il forum vuole fare proprio questo, rilanciare le pratiche, i dispositivi, le tecniche utilizzate, i modelli organizzativi, gli strumenti amministrativi, le modalità di allocazione delle risorse. Partendo anche dalle pratiche errate diffuse sul territorio e sulle carenze che presentano gli stessi servizi psichiatrici di diagnosi e cura negli ospedali generali, «sullo sviluppo incontrollato di strutture residenziali con le più diverse tipologie e dimensioni, sullo stravolgimento di molti centri di salute mentale in mere catene di montaggio di visite ambulatoriali incentrate esclusivamente sull'uso/abuso di psicofarmaci».
E ancora gli Opg, i cosiddetti manicomi criminali: sono 1200 le persone rinchiuse in ben sei strutture sparse per il territorio nazionale, ma «con le leggi attuali e pratiche mirate, attraverso soprattutto il sostegno di Asl e Regioni, quel numero potrebbe essere ridotto di ben un terzo», spiega Franco Rotelli, oggi dirigente di Caserta 2, Asl campana. Eppure quelle strutture continuano a permanere, spesso accanto al carcere vero e proprio senza che però si capisca per davvero quale sia la reale differenza tra i due, «senza contare che - spiega Mario Novello, dipartimento salute mentale di Udine - ben 70 di quelle 1200 persone sono dentro a un Opg per oltraggio a pubblico ufficiale e più della metà è analfabeta o ha la licenza elementare», cosa che quantomeno pone degli interrogativi seri.
E la risposta non può che essere proprio quella comunitaria «i servizi di salute mentale sostenibili - si legge in conclusione nel documento - non possono che richiamare un sistema di welfare di comunità che implichi politiche coerenti tra Asl, Comuni, Regioni e realtà organizzative del territorio quali privato sociale, cooperative, volontariato, associazioni».