POLITICA

Pensioni a Report

POLEMICA
CAVALLARO LUIGI,ITALIA

Piccoli e grandi sprechi, piccole e grandi ruberie, tanto clientelismo e un'enorme evasione fiscale, certo ingiustificabile ma in parte comprensibile dato il pessimo livello dei servizi pubblici: questa l'origine della montagna dell'italico debito pubblico secondo l'inchiesta di Report andata in onda martedì sera. Non ci voleva certo la trasmissione di Milena Gabanelli per sapere tutto ciò che ci sentiamo quotidianamente ripetere dai benpensanti editorialisti della stampa borghese, dal Corriere a Repubblica al Sole-24 Ore. E, detto francamente, la diagnosi ci ha stupito: Report non è la passerella di Alan Friedman, è un ottimo programma di controinformazione, che anche l'altra sera ci ha regalato un'impagabile denuncia sulle nefandezze della cartolarizzazione degli immobili dell'Inpdap. Non era perciò peregrino attendersi una voce non convenzionale, fuori dal coro.

Invece, nulla. Non un cenno, per esempio, al fatto che l'ascesa del debito pubblico lungo gli anni `80 ha avuto luogo nonostante il saldo primario (quello cioè al netto degli interessi) si mantenesse su livelli prossimi allo zero, come effetto del divorzio del Tesoro dalla Banca d'Italia e della conseguente necessità dello Stato di impiccarsi sulla forca di mercati finanziari drogati da una crescita vertiginosa dei tassi d'interesse su scala mondiale indotta dalla svolta monetarista della Federal Reserve di Paul Volcker. E nemmeno una parola sul fatto che il draconiano rientro cui siamo sottoposti ci è imposto da una «regola» (quella di mantenere il rapporto debito/Pil al 60%, fissata dal Patto di stabilità) che non poggia su alcun fondamento teorico, essendo all'opposto sostenibile un qualsiasi rapporto tra le due grandezze purché si dia un adeguato tasso di crescita e un altrettanto adeguato tasso d'interesse.

Il colmo poi si raggiunge quando si affronta il tema pensioni. La Gabanelli esordisce come meglio non avrebbe potuto il più truce D'Amato: «Qui una cosa è certa, la riforma è necessaria e bisognerebbe avere il coraggio di scelte impopolari». Ma davvero è questo il problema? Davvero dobbiamo fare una riforma più impopolare di quella che nel 2050 assicurerà a chi va in pensione con 35 anni di contributi e 57 d'età la bellezza di 444 euro al mese (e stiamo parlando, si badi, della legge Dini-Prodi)?

Alla bravissima Gabanelli va ancora la nostra stima. Ci permettiamo un piccolo suggerimento: la prossima volta che vuol fare un'inchiesta sul debito pubblico, invece di chiedere lumi al gotha degli economisti dell'area liberal dell'Ulivo, incrollabili difensori dell'ortodossia finanziaria, legga (o rilegga) quella conversazione con Josiah Stamp in cui Keynes diceva che «ogni sterlina risparmiata è un'occupazione cancellata». Qualche certezza le vacillerà.



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