«Tra le cause dello sfruttamento del lavoro minorile nelle piantagioni africane di cacao c'è sicuramente la politica dei prezzi stracciati, con tutti i meccanismi economici che la determinano». Pippo Costella è direttore dei programmi di Save the Children Italia , che assieme ad altri operatori del commercio equo e solidale oggi lancia a Perugia nella sala comunale del Palazzo dei Priori, il dossier 2003 sul cioccolato e il lavoro minorile. Si tratta del primo rapporto frutto della campagna Cioccolato positivo, nata due anni fa in risposta alla «chiusura» da parte delle aziende del settore nei confronti di una tematica molto dibattuta quale lo sfruttamento minorile. «Molte aziende si difendono spiegando di non essere in nessun caso coinvolte in tale questione in quanto acquistano il caffè in Borsa - spiega Costella - . Ma la verità è che una grande fetta del mercato mondiale di cacao è gestita da poche multinazionali spesso non quotate in Borsa e quindi poco controllate che fingono di ignorare le problematiche che sottendono a quel prodotto. Per questo il nostro rapporto per la prima volta mette in relazione le varie fasi del ciclo di produzione e vendita del cacao con il lavoro minorile». Per tenere sotto controllo il rapporto tra piantagioni di cacao e sfruttamento minorile, oggi in espansione anche nel Sud est asiatico, è stato costituito in Italia nell'ottobre del 2002 un osservatorio indipendente. Compito, monitorare i cicli di produzione del cioccolato nel nostro paese.
E proprio della fase della produzione e di come essa incida sulla vita di migliaia di bambini abbiamo parlato con uno degli operatori sul campo più esperti, il responsabile per l'Africa occidentale di Save the Children Canada, Michel Larouche.
Lei vive in Burkina Faso, quali sono i bambini con cui lavorate?
Sono bambini portati via dalle loro famiglie e costretti a lavorare 12 ore in piantagioni. La maggior parte di loro arriva da noi perché localizzata dalla polizia, solo in pochi sono riusciti a scappare dai loro sfruttatori. Ma esistono vere e proprie torture destinate ai bambini che vengono scoperti mentre cercano di fuggire. Ad alcuni viene incisa la pianta del piede con un coltellino, le ferite si infettano e non permettono di camminare. E' frequente vedere bimbi che si aggirano per le piantagioni a quattro zampe, costretti a lavorare. In altri casi, i bambini vengono appesi a un albero nudi e le mogli dei proprietari delle piantagioni li eccitano e li masturbano davanti a tutti.
Chi sono i proprietari?
Spesso aziende familiari "costrette" a prendere manodopera di quel tipo perché con pochi soldi a disposizione.
E i bambini?
Vengono sedotti da trafficanti giovanissimi e partono nella speranza di guadagnare qualcosa. A volte appartengono anche a classi agiate. In Mali è accaduto che il figlio di un funzionario governativo sia finito in piantagione. E' stato rapito, non aveva mai usato un machete e la prima volta che lo ha preso in mano si è tagliato un tendine. Oggi non cammina più.
Spesso però lavorare per i bambini di questi paesi significa aiutare le loro famiglie e contribuire all'economia della nazione. Non si può vietare loro di farlo...
Infatti noi non parliamo mai di abolizione del lavoro ma, come dice la stessa convenzione dell'Ilo, dell'abolizione delle peggiori forme di sfruttamento. Chiediamo condizioni più umane per questi minori, ad esempio che il loro lavoro venga retribuito. Chiediamo che aziende e istituzioni occidentali non mettano in pratica strategie serie per eliminare le cause che determinano una situazione non più accettabile in Africa come in Asia.