Miriam è una ragazzina cresciuta in un villaggio nel nord dell'Uganda a due giorni di cammino dalla strada più vicina. È la più piccola di sei figli e i genitori non hanno i soldi per permetterle di frequentare la scuola. A 13 anni, non appena raggiunta la pubertà, è costretta a sposare un uomo che non aveva mai visto prima e poco dopo resta incinta. Sa bene che durante il parto dovrà soffrire, perché tutte le sue amiche e i suoi parenti glielo hanno spiegato «fa parte del destino femminile», quindi tocca a lei «mostrare coraggio» durante il parto che dura cinque dolorosi giorni. Quando il suo bambino nasce morto, Miriam si vergogna di aver deluso marito e famiglia, ma si sente molto sollevata perché ha smesso di soffrire. Per la verità le sofferenze devono ancora iniziare. Il parto crea a Miriam lo sviluppo di una fistola vescico-uterina che le fa perdere il controllo della vescica. Si tratta di un grave problema che può anche portare alla morte prematura, dovuto al fatto che il bacino della madre-bambina era ancora troppo piccolo per permettere un parto o perché la testa del neonato era troppo grande. L'unica possibilità per guarirne è un'operazione, ma spesso l'ignoranza o la scarsità di soldi non portano a questa pur semplice via.
Così Miriam si convince di aver ricevuto una maledizione e resta a letto per giorni, le gambe serrate per impedire la fuoriuscita dell'urina. Ma dopo sei settimane è ancora "bagnata" e il marito decide di riportarla alla famiglia, non vuole una moglie che sia stata «danneggiata».
La famiglia di Miriam decide, a differenza di ciò che accade molto spesso, di riaccoglierla in casa, ma ha difficoltà ad aiutarla visto che a mala pena riesce a sopravvivere lavorando la terra. Quando Miriam cerca di attingere l'acqua dal pozzo le altre donne la allontanano perché la considerano «impura». Nessuno al villaggio sa che esiste una cura per il problema che ha Miriam. Così la ragazza vive 2 anni con la fistola finché il padre viene a sapere che forse esiste una soluzione. A questo punto la famiglia mette i soldi da parte e porta la ragazza in clinica, dove viene operata e guarisce.
Mentre la sua storia si risolve felicemente - Miriam torna dal marito e partorisce un bel bambino - quella di molte altre sue coetanee si trasforma in tragedia. Delle 100.000 mamme bambine che ogni hanno diventano incontinenti si occupa il Fondo delle Nazioni unite per la popolazione, Unfpa, che oggi presenterà a Roma nella sala stampa estera "Lo stato della popolazione nel mondo 2003", il rapporto - l'edizione italiana è curata da Aidos, Associazione italiana donne per lo sviluppo - dedicato quest'anno al miliardo di adolescenti che popolano il pianeta.
E proprio «1 miliardo che conta. Investire sulla salute e sui diritti degli adolescenti» è il titolo del dossier, che fornendo un quadro dettagliato dei giovani e dei loro problemi più importanti, punta proprio sulla necessità di premere in particolare sull'educazione e la sessualità dei giovani, quella che viene definita «la più grande sfida del XXI secolo». Sono loro, ragazzi dai 10 ai 24 anni, quelli che per la maggior parte vivono con meno di due dollari al giorno e non riescono a scampare all'Hiv. Tra di loro, uno su quattro vive per strada, è analfabeta e ogni quattordici secondi contrae il virus dell'Hiv, una percentuale altissima nel quadro dei 42 milioni di individui che in tutto il mondo è nella stessa condizione.
Per questo tutti i governi devono adattare i loro programmi a quelle che vengono definite le cinque priorità dettate dall'Onu per i prossimi anni. Vale a dire mettere in campo politiche che implementino le strategia volte a bloccare il virus dell'Hiv, migliorare la distribuzione delle vaccinazione e in maniera particolare di quella cosiddetta «integrata» che contiene anche i micronutrienti essenziali per i bambini nei primi anni di età, premere per una più diffusa istruzione delle bambine, per uno sviluppo integrato della prima infanzia - vale a dire dei bimbi nei primissimi anni - e quello dei bambini.