ARTICOLO

Torna il ponte, è festa a Mostar

SCOTTI GIACOMO,BOSNIA/MOSTAR

L'amico e compagno Predrag Matvejevic, cittadino europeo, italiano e bosniaco-erzegovese, romano di elezione con le radici a Mostar, così mi diceva qualche mese addietro a proposito del simbolo della sua città natale, lo Stari Most distrutto dalle cannonate di un carro armato croato il 9 novembre 1993: «Ponte Vecchio, come l'omonimo di Firenze, era l'orgoglio della città finché Mostar era una vera città. Da tempo non abbiamo più l'uno né l'altra, siamo stati privati di noi stessi, non abbiamo di che andare orgogliosi». Oggi gli abitanti della città solcata dall'antica Narenta, i mostarini musulmani, croati e serbi (questi ultimi rimasti in pochi), compreso Predrag e noi tutti con loro, possiamo tirare un sospiro di sollievo, anzi gioire: l'ultima pietra, la milleottantottesima dell'arco inferiore del Ponte Vecchio di Mostar viene messa in posa oggi, venerdì 22 agosto 2003, quasi dieci anni dopo che le cannonate dell'odio causarono la distruzione di uno dei più arditi monumenti costruiti all'epoca del dominio ottomano, nell'anno 1566 del calendario cristiano, 944 dell'Egira dei maomettani. Su una lapide che non è stata più ritrovata, forse infranta dalle cannonate, certamente trascinata chissà dove lungo l'ultimo tratto del corso del fiume dalle sue onde vorticose, si poteva leggere in caratteri arabi che quel ponte «fu costruito dall'architetto Haireddin al tempo di Solimano il Magnifico». Nei tempi nostri simboleggiava l'unione fra l'Oriente e l'Occidente presenti in un'unica città, e la secolare convivenza di una popolazione che, professando tre o quattro religioni diverse, parlava (e parla) la stessa lingua ed ha le medesime radici slave. Questa unione, questa coesistenza vollero distruggere i miliziani di Tudjman, di Boban e di Susak, i satrapi del nazionalismo.

I semi dell'odio continuano a germogliare a Mostar otto anni dopo la fine della guerra fratricida; sono ancora presenti e operanti a Mostar, soprattutto nelle file di chi sventola il tricolore con la scacchiera, personaggi sospettati di crimini di guerra, i seminatori di quei semi velenosi e i continuatori della politica della separazione nazional-sciovinistica. Da tempo, però, non si versa più sangue, faticosamente si riannodano i nodi, la città risorge a poco a poco delle sue macerie. Tre anni fa partecipai alla prima edizione delle «Serate poetiche di èantic» del dopoguerra; nella Mostar musulmana, sul pendio della collina, fu inaugurato il ricostruito monumento bronzeo del poeta mostarino serbo Aleksasa èantic, cantore della fratellanza, innamorato di una bella Emina musulmana. Intervennero anche alcuni poeti croati assieme a serbi e musulmani. Quest'anno i poeti delle tre comunità tornano a riunirsi nel nome di èantic per la terza volta il 23 agosto, all'indomani della festosa cerimonia al Ponte Vecchio che risorge. L'indomani, 24 agosto, dal punto centrale di quel ponte torneranno a tuffarsi nel fiume i coraggiosi «saltatori della Neretva» gettandosi a capofitto da un'altezza di oltre venti metri fra i gorghi vorticosi. Gli ultimi tuffi, prima della guerra, ci furono nel 1991.

Non è ancora interamente completata la ricostruzione del Ponte, ma quando lo sarà, fra un anno - e saranno rinati insieme ad esso ventisette edifici del nucleo storico di Mostar che formano un tutt'uno col ponte - esso tornerà ancora più luminoso di come si presenta ora ai nostri occhi nel candore della pietra carsica con la quale è stato ricostruito, la stessa pietra, estratta dalle stesse cave, con la quale Haireddin lo eresse nel Sedicesimo secolo. Il ponte nuovo è di nuovo Vecchio perché l'aggettivo «stari» (antico, vecchio), più che riferirsi al tempo acquista in bocca ai mostarini un significato affettuoso, viene pronunciato alla stessa maniera in cui un figlio qui chiama il padre o un giovane l'amico: «vecchio mio». Dice Matvejevic: «Noi ci si dava appuntamento sul Vecchio; facevamo i bagni d'estate nel fiume sotto il Vecchio; i più coraggiosi di noi si tuffavano nelle acque dall'alto del Vecchio». Ed erano convinti che il fiume sotto il Vecchio Ponte fosse «il più verde del mondo», che le acque della Neretva fossero le più chiare acque correnti...

Le ferite del ponte, precipitato insieme alle due torri laterali in pietra che facevano da sentinelle, sono state cicatrizzate; alle sponde rocciose sono stati riagganciati gli archi; l'ingegnere francese Gilles Péqueaux, insieme ad architetti e ingegneri ungheresi, italiani, turchi e di altri paesi, con l'aiuto di scalpellini bosniaci che hanno appreso nuovamente in questi ultimi anni il mestiere dei loro antenati proprio per lavorare ad opera d'arte le pietre del ponte, hanno compiuto il miracolo di restituirci un'opera stupenda che né i terremoti, le invasioni, le guerre ed altre sventure così frequenti nei Balcani avevano risparmiato per quattro secoli e mezzo. Poi arrivarono i vandali nazionalisti e, dopo di loro, per fortuna, uomini molto migliori e di molte lingue.

L'opera di ricostruzione, cominciata e sospesa più volte, ebbe il suo vero inizio nel 1997. Quando sarà completata in tutti i particolari saranno stati spesi 16 milioni di dollari. La Croazia, dalla quale mossero i carri armati della distruzione, ha contribuito con mezzo milione, la trentesima parte.

L'anno prossimo, quando sarà portata a termine anche la costruzione degli edifici e strutture direttamente connessi al ponte, creando un'indivisibile unità architettonico-urbanistica, a Mostar ci sarà un'altra festa, una festa grande, alla quale interverranno personalità della politica e della cultura di mezzo mondo. Ce lo dicono gli ingegneri che hanno coordinato i lavori e continueranno a sovraintendere al completamento del progetto: Rusmir Cisic, musulmano e Tihomir Rozic croato.

Ieri pomeriggio, intanto, è stata inaugurata a Stolac, altra città dell'Erzegovina, la ricostruita Moschea del Mercato. Per la cerimonia si sono riversate nella cittadina circa diecimila persone. Contemporaneamente si sono concluse le quattro «giornate della poesia» con le quali - rinnovando una vecchia tradizione dell'anteguerra - si è voluto onorare uno dei maggiori poeti croati della Bosnia-Erzegovina, Mak Dizdar, di religione musulmana. Stolac è un altro simbolo della tragedia bellica in queste regioni. Immersa in giardini fioriti di melograni, in un paesaggio bellissimo e disseminato da monumenti di tutte le epoche, esattamente dieci anni fa, d'estate, Stolac fu distrutta dalle milizie croate. Per due mesi di seguito, in luglio e agosto 1993, gli uomini dell'Hvo - l'esercito croato dell'Erzegovina - distrusse sistematicamente la città e ne cacciò la popolazione musulmana; questa fu cacciata anche da gran parte della regione, destinata ad essere colonizzata dai croati. In quei due mesi furono rasi al suolo, insieme alle case degli «infedeli», anche tutti i monumenti e quattro moschee. Ora si è voluto ricordare, con il raduno dei poeti, il decennale di quella distruzione e il quinto centenario della costruzione, primo anno della ricostruzione, di una delle quattro moschee. E' risorta nonostante l'opposizione delle gerarchie della chiesa cattolica di quella regione. In città, anch'essa in parte ricostruita negli ultimi quattro-cinque anni, sono tornati gran parte degli abitanti dell'anteguerra, ma la situazione è ben lungi dall'essere normale. Tuttavia, man mano gli sguardi si rivolgono sempre più al futuro; anche qui la solidarietà internazionale potrà compiere miracoli; anche qui le forze della coesistenza vanno rafforzandosi, in opposizione aperta all'intolleranza e all'odio. Crescono nuovi ponti...

Supporta il manifesto e l'informazione indipendente

Il manifesto, nato come rivista nel 1969, è sinonimo di testata libera, indipendente e tagliente.
Logo archivio storico del manifesto
L'archivio storico del manifesto è un progetto del manifesto pubblicato gratis su Internet e aperto a tutti.
Vai al manifesto.it