Karen Blixen, nella Mia Africa, racconta una storia che le veniva narrata da bambina: una notte, un uomo che viveva nei pressi di uno stagno viene risvegliato da un terribile fragore: è l'argine che sta cedendo. Si precipita a tappare la falla correndo di qua e di là e, quando ha finito, se ne torna a letto. Al mattino, affacciandosi alla finestra, vede che i suoi passi disordinati hanno creato sul terreno il disegno di una cicogna. «Quando il disegno della mia vita sarà completo, vedrò, o altri vedranno, una cicogna?» si chiede Blixen. Proprio la traccia biografica che si fa figura è la giocosa invenzione di Un mondo di donne: trecento ritratti celebri (Pratiche editrice, 381 pp. 21 Euro), raccolta di brevi schede biografiche che non vogliono racchiudere, ma solo disegnare vite di donne, per un verso o per l'altro, depositarie di un segno del proprio percorso. Sfogliando il libro subito ci si spalanca un mondo di donne che appaiono - nelle fotografie e nei ritratti di ogni pagina - belle, un po' folli, volitive o stravaganti, corrucciate o sorridenti, mai ingessate in un ruolo sovrapposto alla vita, provvidenzialmente diverse dagli «uomini importanti», impennacchiati, bardati nelle divise che ne dicono il potere, che Virginia Woolf, nelle Tre ghinee, ci fa intravedere dagli scorci dei tribunali, delle chiese, di tutti i luoghi delle istituzioni. Si incontra il volto intenso di Gertrude Stein, la bellezza ombrosa di Tina Modotti, l'eleganza affilata di Clarice Lispector, il sorriso appartato di Ingeborg Bachmann. Si riconoscono volti amati, si scrutano volti sconosciuti. Senza rendersene conto si è presi nel gioco: perché manca proprio Karen Blixen? come mai non c'è Hannah Arendt? Un esercizio virtualmente infinito perché questo libro - pur potendo contenere tutte le donne - non si cura affatto di essere esaustivo, non ha nessuna pretesa di completezza, non ha alcuna mira enciclopedica; è evidente, anzi, che l'idea maschile dell'opera volta a contenere il tutto, l'universale, è rigettata alle radici. I ritratti che lo compongono sono assolutamente parziali e disomogenei e a volte dicono solo di sfuggita i fatti essenziali, per concentrarsi su un unico punto sul quale l'autrice getta un arbitrario fascio di luce: perché quella è la cosa che le interessa, quello è il disegno che ha visto e vuole farci vedere.
Capita così che nel profilo di Ingeborg Bachman l'autrice scelga di citare una sola frase per lei significativa del pensiero della scrittrice austriaca: «il fascismo inizia nel rapporto tra esseri umani, il fascismo è la prima cosa che si manifesta nel rapporto tra un uomo e una donna». Basta compulsare la stessa voce su una qualsiasi enciclopedia letteraria per godere dell'effetto comico della comparazione.
Un mondo di donne - nato in Germania da una serie di preziose agendine tascabili che hanno riscosso grande successo e tradotto in italiano per l'amorevole cura di Maria Gregorio - è una sorta di albero genealogico femminile che ci fa riconoscere l'autorità di altre donne, ci fa amare il disegno tracciato dalle loro esistenze, in un'apertura di libertà e di forza alimentata da quella «folla nel cuore» di cui parlava Emily Dickinson in un verso della sua poesia omonima. Leggiamo così di Pearl Buck, scrittrice americana, vincitrice del Nobel per la letteratura nel 1938, che dopo una vita intensa con due matrimoni e la adozione di otto bambini, si è cimentata nella scultura, nella cinematografia e nell'agricoltura, per iscriversi a settant'anni a un corso di danza e iniziare una relazione amorosa con il suo insegnante di quarant'anni più giovane. Oppure, si apprende di Amalie Sieveking, un aamburghese nata alla fine del `700 che, essendosi resa conto, dalle relazioni dei medici, del destino di quei bambini rachitici condannati a una parziale reclusione «perché le carrozzine hanno prezzi irraggiungibili per la povera gente», fa fabbricare alcune carrozzine e paga un certo numero di disoccupati perché portino a spasso i bambini.
Un'altra figura notevole è quella di Amalie Dietrich, giovane amburghese di poveri natali: dopo avere sposato un farmacista che la introduce ai concetti fondamentali della botanica, diventa una tra le più grandi naturaliste tedesche. Amalie, ci racconta la scheda, pur avendo da poco dato alla luce una figlia, «si separa da Wilhelm, che osserva con crescente perplessità l'accanimento con cui la moglie si dedica al lavoro, e affida la bambina in custodia». Compra un carretto a mano a cui attacca un cane e va a cercare esemplari di piante nelle Alpi salisburghesi, spesso dormendo all'addiaccio. La sua vita ha una svolta quando un armatore di Amburgo, che progetta un museo naturalistico ed etnografico dei mari del sud, la manda per dieci anni in Australia con un incarico di ricerca. Amalie raccoglie e spedisce in Germania casse e casse di esemplari di piante e insetti, alcuni dei quali prendono il suo nome, come l'alga Sargassum Amalie e la vespa Odynerus Dietrichianus. Nel 1873 torna in patria con due aquile che ha addomesticato, «il viso solcato da mille rughe, quasi una pergamena su cui siano trascorsi uragani» - scriverà la figlia; che, per nulla risentita, ne stenderà la biografia e le starà al fianco fino alla morte.
«Le biografie non sono mai ideologiche» dice Maria Gregorio, «e leggendole ci si ritrova dentro un immenso ventaglio di vite possibili. Questa pluralità mostra che non esiste un punto di vista femminile; esistono invece le donne, ciascuna con il suo proprio modo d'essere.» Non esistono né letteratura, né arte, né architettura al femminile: esistono scrittrici, artiste, architette che, nel momento in cui si prendono la libertà di pensare il mondo lo reinventano a partire dalla propria esperienza di sé, inducendo in noi che leggiamo la voglia di fare altrettanto. «Per questo riprendere le parole che un'altra ha già detto dà senso al nostro essere donne e non uomini, e fa sì che non sia sempre necessario, per ognuna e per ogni generazione, ricominciare tutto daccapo».