MONDO

Chiesta l'estradizione di Fujimori

PERU'
BERETTA GIANNI,PERU/GIAPPONE

Il Peru' ha presentato al Giappone formale richiesta di estradizione nei confronti dell'ex presidente Alberto Fujimori, accusato di gravi reati, dal tentato golpe al massacro di oppositori all'abuso di potere e malversazioni: l'ambasciatore peruviano, Machiavello, ha presentato un dossier di 700 pagine. Fra l'altro l'ex presidente deve rispondere di omicidio e sequestro di persona, in relazione a due massacri perpetrati nel 1991 e nel 1992. Difficilmente il governo nipponico accoglierà la richiesta, visto che il sessantacinquenne ex presidente oltre alla cittadinanza peruviana ha anche quella giapponese e visto che tra i due paesi non esiste un trattato di estradizione (ma questo non impedì che nel 1996 il Perù consegnasse al Giappone Kazue Yoshimura, sospettato di essere un «terrorista dell'Esercito rosso». Vale la pena riflettere anche sul perché il presidente della repubblica Toledo abbia autorizzato l'iniziativa governativa soltanto adesso, di fronte alla sua pesante impopolarità. Sono passati infatti esattamente due anni da quando Alejandro Toledo giurava in Perù da presidente della repubblica di fronte alle divinità andine nel magico scenario di Machupicchu, convertendosi nel primo capo di stato indigeno dell'era moderna in America latina. La popolarità e le aspettative in Toledo (di estrazione umile, da bambino faceva il lustrascarpe) alla testa di una coalizione civica di centro-sinistra «Perù posible», erano allora altissime. Il Perù si era appena scrollato di dosso due mandati di regime assoluto di Alberto Fujimori (rocambolescamente fuggito in Giappone lasciando il paese in rovina) e del suo superconsigliere Vladimiro Montesinos (condannato la scorsa settimana nei primi due dei 50 processi cui è sottoposto).

Ebbene, in meno di 24 mesi Toledo si è mangiato quell'euforia - e non è un caso se, quasi a volerla recuperare, ieri abbia preso forse l'unica vera sua decisione popolare con la richiesta a Tokyo di estradare Fujimori. Solo un peruviano su dieci infatti apprezza ancora il suo lavoro, quando gli indici di consenso nel 2001 sfioravano l'80%. Povertà e disoccupazione dilagano. Poco meno della metà dei 28 milioni di peruviani sopravvive con appena un dollaro al giorno. Certo aveva ereditato una situazione pesante; e non gli mancavano le buone intenzioni col suo «capitalismo sociale» all'insegna della lotta alla miseria. Sta di fatto che «l'indio» Toledo, forse perché economista, ex funzionario della Banca mondiale, ha mostrato di essere fra i più ligi alle ricette fondomonetariste che impongono tagli alla spesa pubblica e privatizzazioni a tappeto. E ben presto ha sperimentato (nel 2002) ad Arequipa, nel sud del paese, una rivolta popolare contro la liberalizzazione del servizio di energia elettrica, nonché scioperi nazionali a valanga nella sanità e nell'educazione pubblica. Le proteste si sono estese poi ai magistrati ed hanno raggiunto il culmine nel maggio e giugno scorsi, quando al settore pubblico si sono uniti i lavoratori agricoli che hanno praticamente paralizzato il paese, tanto da indurre Toledo a decretare lo stato di emergenza nazionale. Non è casuale che in così poco tempo Toledo abbia cambiato ben tre primi ministri. Ma neanche l'ultima nomina a capo del governo di una donna progressista, Beatriz Merino (raccomandatagli dallo scrittore Mario Vargas Llosa, che aveva declinato l'incarico per «impegni editoriali») gli è valsa a recuperare consensi. Tantomeno ha convinto l'esemplare decurtamento, oltre che dei salari degli impiegati dello stato, dell'appannaggio presidenziale (autoridottosi fino a un quinto). Come se non bastasse la guerriglia polpotista di Sendero luminoso è tornata ad operare nel dipartimento di Ayacucho e non solo. E così Toledo ha perso nettamente le recenti elezioni amministrative, spianando la strada alla socialdemocratica Apra del redivivo ex presidente Alan Garcia, a questo punto lanciato alle elezioni del 2006.

Ma Washington cerca di sostenere Toledo, e attraverso la Banca mondiale gli ha esteso recentemente un prestito di 300 milioni di dollari, da impiegare in parte in progetti contro la povertà. In fin dei conti il presidente peruviano risulta essere fra i pochi capi di stato latinoamericani a sostenere con convinzione il progetto dell'Area di libero commercio delle Americhe (Alca), che secondo i piani di Bush jr. dovrebbe decollare nel 2005. Forse per questo non ha mai legato con Lula, o con Chavez, ma neppure col cileno Lagos, o con l'ecuadoriano Gutierrez o ancora con il neoinsediato argentino Kirchner. Alejandro Toledo sembra voler giocare da solo. E da solo rischia di affondare.

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