VISIONI

Ridisegnare paesaggi per le città

MACRÌ TERESA,PADULA (Salerno)

Non solo arte. All'interno della mostra «Le Opere e i Giorni», svetta per suggestione, la sezione «Ortis Artis»: un vero coup de maître di Achille Bonito Oliva nell'intuire la necessità della riqualificazione del paesaggio naturale che si riparte nella Certosa di Padula e spingerne le interazioni con le opere d'arte. La stessa Soprintendenza di Salerno e di Avellino ha appoggiato l'idea trasformativa del paesaggio moderno. Coordinato dallo Studio Eu di Berlino (Maria Ippolita Nicotera, Paola Cannavò e Francesca Venier: tre agguerrite architette italiane operanti nel land berlinese), «Ortis Artis» riplasma l'originario assetto di cinque dei numerosi giardini adiacenti alle celle dei monaci certosini, nell'ala orientale del complesso monastico. È probabilmente l'incipit di un più stretto rapporto tra arte e paesaggio all'interno del progetto complesso «Gli Annali dell'Arte» ideato da Achille Bonito Oliva e promosso dalla Regione Campania nel cui bacino staziona anche Padula. «Gli Annali dell'arte», infatti è una sorta di rete tentacolare che avviluppa l'intero territorio campano, attraverso una serie di eventi e progetti permanenti concentrati all'«occupazione» territoriale: installazioni, opere pubbliche, mostre e architetture tendono a ridefinire, culturalmente, quell'idea astratta e malsana di città generica o di spazio disentificato. Scalzando l'abbrutimento del concetto di non-luogo, alienante proscenio contemporaneo dove si fagocita la collettività all'interno della macchina consumistica, la sfida di far riappropriare la comunità di uno spazio sensibile appare la più seducente.

«Ortis Artis» è scandito nei deliziosi giardini contemplativi cui fruivano i monaci e offre una gamma di variazioni date sia dalla caratteristica naturale del giardino stesso che dall'interazione con l'opera realizzata dall'artista che occupa la cella adiacente. Si va dunque per sinestesie, ma non solo. Lo Studio Eu infatti, nel coordinare il progetto ha invitato 5 paesaggisti di differenti paesi e di diverse caratteristiche linguistiche. L'ingresso della Certosa è rimappato da Nip Paysage con grosse boules di juta blu, inseminate con semi di piante quebequesi. Si procede quindi verso le celle. Nella numero 20 (opere di Vettor Pisani, P. Gazzola + il divertente antro occupato da Lorenzo Scotto Di Luzio) lo Studio Topotek 1 ha operato per sottrazione di elementi. Impalpabile e setoso il giardino originario ritrova la sua purezza modulare nel far riaffiorare cornici di pietra e strutture architettoniche. Il gesto è simbolico. Smaltita ogni «impurezza» vegetativa e riassettato il terreno, un manto nebbioso (azionato da canne erogatrici), trasformano il paesaggio. L'attigua cella 21(Nicola de Maria) si protende nel giardino «ridiscusso» da Helene Holz. Trasformazione in progress da parte dell'architetta che arricchisce la paesaggistica originaria di elementi che, come dei souvenir, si integrano alla folta vegetazione. Il giardino della cella 22 (Mimmo Jodice) viene adattato a Spruzzi di Luce dallo studio Le Balto, fondato a Berlino nel 2000. Una messa in scena ironica si integra con le variazioni naturali in cui si interviene. In questo caso Le Balto, invita ad attraversare il giardino, utilizzando dei sandali di gomma pop che, oltre a suggerire uno spiazzamento tattile, aiutano a penetrare meglio nel bianco plafond sabbioso che «ripavimenta» la struttura preesistente ancora percepibile. Spruzzi d'acqua, azionati da irrigatori situati tra le piante, mutuano il colore dell'aria e della sabbia. Alla paesaggistica d'affezione non si sottrae il giovane architetto lisboeta Victor Beiramar Diniz riportando quella intensità e quella discrezione che rende la scuola di paesaggio portoghese la più sofisticata. Beiramar Diniz, tra l'altro, dirige quella mirabilia che è il parco del Museo Serralves di Porto, la cui esemplare realizzazione è sottoscritta al rigore e alla fantasia di Alvaro Siza. La cella 23, in cui si specchia l'installazione di Alfredo Pirri, si lega empaticamente al giardino rivisto dall'architetto lisboeta.

Nihil praeter animum esse mirabile è il titolo dell'intervento assimilato alla massima di Sant'Agostino. 4 vasche di acciaio coperte da un filo di acqua coprono l'originaria struttura pavimentale. Da esse spuntano 4 alberi alteri e poetici. La luce che si riflette sulla superficie acquosa umidifica l'aria e modifica la temperatura. Poi si dissolverà, subendo il processo naturale del tempo incerto e mutabile. Sembra di rivivere lo spaesamento delle pagine pessoiane o delle immagini di Manuel De Oliveira in quella scansione di tempo infinito e, insieme, bruciante.

Più accumulativo è invece l'ultimo intervento nel giardino che limita la cella 24 (adoperata da Maja Bajevic) e trasformato dallo Studio West 8 in un giocoso muro di pigne. Sintesi tra natura e artificio nell'osmotica suggestione tra riporto vegetale e tecnologico. La luce cinematografica di Armageddon elettrizza una natura pervasiva che presagisce la fragilità del tempo nel suo consumarsi impietoso. Completerà «Ortis Artis» un workshop internazionale dal 7 al 14 settembre.

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