CULTURA

Il lungo diario di Tutino

ANGHIARI
BERETTA GIANNI,ITALIA/ANGHIARI

Una vita trascorsa a scrivere di sé e degli altri; per sé e per gli altri. Saverio Tutino, comunista, classe 1923, 80 anni compiuti questa settimana, riceverà oggi la cittadinanza onoraria di Anghiari, il borgo medievale della Val Tiberina, in provincia di Arezzo, nota per «la battaglia» e gli affreschi (scomparsi) che ne fece Leonardo. Per uno di Milano come Tutino questo riconoscimento riveste certa curiosità, visto che in quella battaglia furono proprio i milanesi a buscarle sonoramente dai fiorentini. Del resto è qui che Tutino ha compiuto la sua opera maestra facendo dell'Alta valle del Tevere il tempio della memoria; raccogliendo diari, epistolari, storie di persone qualunque. Cominciò quasi vent'anni fa poco lontano, a Pieve Santo Stefano, dove ha fondato l'Archivio diaristico nazionale che conta ormai oltre quattromila diari. Ma era ad Anghiari, che Saverio passava la gran parte delle estati inventando iniziative culturali talvolta insieme allo scomparso GianFranco Venè, anch'egli giornalista e scrittore. Fino a che, di recente, Tutino vi ha promosso la Libera università dell'autobiografia. Tutino era approdato da queste parti dopo che il suo cuore ballerino lo aveva indotto a interrompere la sua frenetica esistenza di inviato giornalistico nel mondo. Aveva cominciato subito dopo la guerra a l'Unità come redattore esteri e, successivamente, corrispondente da Milano. Fu l'allora segretario della Fgci Enrico Berlinguer a chiedergli di seguirlo in Cina per il primo anniversario della Rivoluzione popolare nel 1950. Passò alla rivista Vie nuove, diretta da Luigi Longo, e poi fu destinato dal partito a dirigere il settimanale Nuova generazione. Lavorava con Magri, Chiarante, Michelangelo Notarianni, Luciana Castellina... Ma durò pochi mesi. Ebbe a trattare con eccessiva disinvoltura critica i fatti d'Ungheria, e per questo fu allontanato. Pajetta lo tacciava di ingenuità e di fare troppo a suo modo. Per di più frequentava poco Botteghe oscure. Tutino, «balilla» da fanciullo e appassionato alpinista, si era iscritto al Partito comunista nel 1944 a Lugano dove era riparato dopo l'8 settembre per evitare l'arruolamento nei repubblichini. Dalla Svizzera era sceso poi a Cogne per arruolarsi nella 76ma Brigata partigiana Garibaldi, di cui diventerà più tardi commissario politico fino al giorno della Liberazione, quando entrarono a Ivrea. Su quell'esperienza scrisse il suo primo libro di racconti della Resistenza: La ragazza scalza.

Nel 1958 l'Unità lo nomina corrispondente a Parigi. Saverio solidarizza con la causa algerina mettendo in risalto le contraddizioni del Pc francese. Raccoglie i consensi di Reichlin e Pintor. Ma Pajetta e Amendola lo criticano aspramente sino a rimuoverlo; non prima di avere scritto Gollismo e lotta operaia. Viaggia nella Spagna franchista, nella Jugoslavia di Tito e in Libano. Fino a che il giornale lo invia a L'Avana nel `62 durante la crisi dei missili. I suoi reportage non piacciono al direttore Mario Alicata; ma ha l'incoraggiamento di Vittorio Foa. Nel partito Tutino viene considerato intemperante, polemico; ma riesce ugualmente ad aprire un ufficio di corrispondenza nella capitale cubana dove rimarrà quasi ininterrottamente fino al `68. Dopo i primi anni di stretto legame e simpatia con la rivoluzione, Saverio finisce da una parte inviso a Fidel Castro (di cui tratteggia sempre piu il «caudillismo» e le differenziazioni con Che Guevara), e dall'altra viene richiamato a Roma da Pajetta e da Maurizio Ferrara, che gli rimproverano di essere «guevariano», «troppo immedesimato» con Cuba diventando più «un comunista cubano che un comunista italiano». Pajetta, allora direttore de l'Unità, lo vuole mandare in provincia. Tutino si licenzia e restituisce la tessera del partito. Comincia per lui un duro periodo di crisi sia personale che economica.

Saverio torna a L'Avana e collabora con Le Monde, ma ormai è rottura piena con la nomenclatura castrista e deve abbandonare l'isola. L'appoggio di Castro all'invasione della Cecoslovacchia segnò lo spartiacque definitivo per molti di coloro, comunisti, che avevano sperato in una rivoluzione aperta. Motivo di riflessione sono le pubblicazioni di Tutino su quell'esperienza: dall'Ottobre cubano a Gli anni di Cuba, a vari testi sul Che. Tornato a Roma, dopo un breve periodo nel Cile di Allende e qualche viaggio in Africa, Saverio, disoccupato, si recava tutte le mattine presto al manifesto a leggere i quotidiani e le agenzie. Fino a che nel `76 Eugenio Scalfari lanciò la Repubblica e (su suggerimento di Berlinguer) lo assunse come inviato in Spagna e America latina. Tutino credeva nel progetto del nuovo quotidiano per «modernizzare la sinistra». Contemporaneamente prese il via la collaborazione con Linus, dove scriveva di poteri occulti e trame internazionali di servizi segreti. Seguì l'Argentina dei generali e la guerra delle Malvinas, così come gli esordi della Rivoluzione sandinista in Nicaragua e della guerra di liberazione in El Salvador. Ma anche le vicende della lotta armata in Italia, Nel 1987 si riscrive al partito nella sezione di Trastevere. In una visita all'Archivio diaristico di Pieve, Pajetta esclamerà: «geniale».

Saverio Tutino si è fatto accompagnare in tutta la sua vita da un diario. Lì ha riportato giorno dopo giorno le sue insofferenze, la sua depressione, quella costante necessità di fuggire, fuggire da sé stesso. Ha sempre pensato, nel bene e nel male, con la testa propria, cocciuto ma libero, pagandone le conseguenze. E' stato un grande inviato giornalistico, così come un pessimo militante di partito, ma sempre «un comunista», come rivendica nella sua autobiografia L'occhio del barracuda. In età matura si è addolcito e rasserenato, insieme alla sua compagna Gloria, artista scultrice. Ma gli resta l'inquietudine per «una sinistra orfana di un progetto».

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