Con l'arrivo dei primi 150 soldati italiani in Iraq, sotto il comando britannico, l'Italia entra a tutti gli effetti nel novero delle potenze occupanti. Una prima conseguenza è che l'Italia assume così responsabilità che le potenze occupanti vengono assegnate dalla convenzione di Ginevra, in materia di sicurezza e di erogazione dei servizi essenziali alla popolazione. Gli interventi annunciati dal governo in campo sanitario e in altri campi non saranno più definibili umanitari, essendo semplice adempimento agli obblighi dei vanti dal nuovo status assunto. In materia di ordine pubblico, campo a cui senza dubbio si estende la responsabilità del contingente italiano, c'è da chiedersi quale sarà l'atteggiamento italiano di fronte alle manifestazioni contro l'occupazione. E' stato comunque già notato che la missione «antica Babilonia» esula fortemente dal mandato che il parlamento aveva dato al governo. C'è però qualcosa più grave che sta passando in sordina: l'Italia sta assumendo, con la partecipazione di funzionari e responsabili politici all'autorità occupante, responsabilità di governo in Iraq. Sta cioè tornando a essere potenza coloniale. Nei prossimi mesi saranno prese decisioni politicamente molto rilevanti per il futuro dell'Iraq dall'autorità occupante. Il programma statunitense è noto: privatizzazione del settore pubblico, denazionalizzazione del petrolio, uscita dall'Opec, abolizione delle barriere doganali, protezione del copyright e adesione al Wto, solo per dirne alcune. Decisioni che coinvolgono l'assetto sociale del paese e la sua collocazione internazionale sulle quali dovrebbero poter decidere solo gli iracheni attraverso un governo rappresentativo. Ma sui tempi in cui ciò potrà avvenire è lecito nutrire dubbi.
Il governatore Paul Bremer ha già annunciato che il passaggio di potere non potrà avvenire prima di due anni ma il rinvio sine die della conferenza nazionale, l'impedimento delle elezioni amministrative a Najaf, la dichiarazione del ministro degli esteri inglese sul «pericolo» di vittoria elettorale delle formazioni islamiche fanno temere che il periodo di governo coloniale possa durare molto più a lungo. L'Italia ne fa parte. Avrà il ministro della cultura. Notizia poco circolata e che viene generalmente ben accolta. Conosco bene la competenza e l'autentico amore per la Mesopotamia che anima gli archeologi italiani e sono certo che in questo campo il nostro paese potrebbe fare cose utili ma, anche se può sembrare impopolare, credo che non si dovrebbe collaborare. L'Italia dovrebbe insistere affinchéla tutela del patrimonio storico-archeologico sia affidata all'Unesco. Dovrebbe quindi offrire sostegno consulenza e fondi a questa istituzione, e non al governo di occupazione. In caso contrario l'Italia condividerà la responsabilità di tutte le decisioni prese dal governatore Usa, anche quelle di sparare sulla folla o quella di «sostituire il sistema di distribuzione alimentare con un sistema di accesso al cibo guidato dal mercato». In pratica far fare la fame a milioni di persone.
Il fatto che questa politica abbia assicurato all'Eni di godere di uno dei sei contratti di vendita del petrolio e a 400 aziende italiane di partecipare con probabilità di successo ai subappalti per la ricostruzione non è sufficiente a giustificare un ritorno alla politica del «posto al sole». Che l'Italia torni potenza coloniale non ha discusso e deciso nessuno. Il movimento contro la guerra e tutto il centro sinistra dovrebbero rapidamente meditare su queste cose.
*Un ponte per...