MONDO

Una legale illegalità

GUERRA
DI FRANCESCO TOMMASO,IRAQ/USA

Finora non poteva dirlo: la guerra all'Iraq era per la comunità internazionale «illegale». Da oggi, con il voto all'unanimità - tranne l'astensione della Siria sotto minaccia militare - contro l'embargo dell'Onu all'Iraq, Bush e gli alleati del fronte di guerra, possono dichiarare di avere vinto davvero: l'illegalità della guerra è diventata legalità accettata. Il Consiglio di sicurezza dell'Onu approva la conquista dell'Iraq, ne assegna alle potenze occupanti il protettorato e avvia la spartizione neocoloniale. Il ciclo della guerra si chiude. Gli Stati uniti piegano al loro volere l'Onu, ridotto davvero a vuoto Palazzo di Vetro - «vitale» perché legalizza l'occupazione militare, ma «non centrale» - associano nella balcanizzazione dell'Iraq Francia, Russia, Germania (e la Nato) - che più si erano opposti all'unilateralità della guerra e ai costi umani che ne sarebbero derivati - quegli effetti collaterali e quelle vittime civili sui quali è caduto ormai il baratro del silenzio dei media. Così i conquistatori portano a casa il vero bottino della guerra: la fine dell'Oil for food, quel contingentamento della vendita di petrolio iracheno concesso solo per soccorrere un paese ridotto a milioni di morti per fame da embargo (criminalmente applicato dagli Usa), con il controllo totale della fonte petrolifera irachena - la più grande, per riserve, del mondo. Gli Stati uniti s'insediano nell'area e diventano arbitri del Medio Oriente e del ruolo dell'Opec: il greggio iracheno adesso verrà «venduto dall'Iraq», vale a dire dagli Stati uniti che ne controllano militarmente giacimenti, raffinerie e oleodotti, nella quantità che decideranno loro, al prezzo che fisserà Washington e per le multinazionali che vorrà l'America. S'infuriano, ma è tardi, perfino i kurdi che «prima» gestivano le loro zone petrolifere. Il contentino è che, forse, si dimette il generale Tommy Franks, un segno che la vittoria militare non è bastata; che ci sarà un «garante» Onu, ma a copertura dell'occupazione; e che tornano gli ispettori dell'Aiea. Siamo alla memoria della farsa: le armi di distruzioni di massa non si sono trovate - «per questo si fa la guerra» insisteva imperterrito l'altro dimissionario Ari Fleischer -, non si è provato alcun legame tra Saddam Hussein e Al Qaeda che anzi, rinvigorita - dice l'Amministrazione Usa - miete vittime e semina attentati. Però tornano gli ispettori, stavolta a cercare pezzi del nucleare civile saccheggiati nel grande caos iracheno. Già, il grande caos. Perché, proprio ora che gli Stati uniti legalizzano la loro guerra, sul terreno mostrano di non riuscire ad amministrarne i risultati: l'Iraq è alla deriva dell'ordine pubblico, è saltato il vicerè Jay Garner, il potere è direttamente nelle mani dell'Intelligence Usa rappresentata da Bremer, preme la protesta sciita che destabilizza l'area, le forze armate americane d'occupazione sparano un giorno sì e uno no sui civili, e l'opposizione irachena filoamericana si defila. Né, per ora, la realpolitik dei nuovi «grandi territori occupati» dall'America (Iraq e Afghanistan, protagonista il bombardiere Franks), sembra convincere Israele a dire sì alla riduttiva pace delle «road map» per i territori occupati palestinesi. Perché mai dovrebbe se, alla fine, l'illegalità diventa legalità?

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