CULTURA

Una terapia politica per curare la modernità

TOMBA MASSIMILIANO,GERMANIA

Un meritorio lavoro di traduzione ha finalmente permesso al lettore italiano di accedere ad alcune fra le principali opere di Axel Honneth, l'allievo di Jürgen Haberms che a pieno titolo può essere considerato l'erede della Scuola di Francoforte, della quale è oggi tra l'altro direttore. Se si considera che solo nell'ultimo anno sono stati pubblicati la Critica del potere (Edizioni Dedalo, 2002), Lotta per il riconoscimento (il Saggiatore, 2002) ed ora Il dolore dell'indeterminato (manifestolibri, 2003), è innegabile un crescente interesse per il pensatore tedesco, probabilmente legato al bisogno di trovare nuove posizioni capaci di oltrepassare l'ormai sempre più sterile contrapposizione tra liberals e communitarians. Erede della Scuola di Francoforte, Honneth ne mette in discussione la tradizione teorica, non solo confrontandosi con Haberms, della cui filosofia lamenta il carattere formale, ma evidenziando anche i limiti dei fondatori della Scuola: Adorno e Horkheimer. Secondo Honneth la Dialettica dell'illuminismo rappresenterebbe il tentativo di costruire il concetto di dominio sociale in conformità al concetto di dominio della natura, solo che, così facendo, la classe oppressa viene interpretata allo stesso modo della natura, come oggetto passivo di procedure di controllo e dominio. Viene così operata una rimozione del conflitto sociale, tanto più radicale quanto più la logica della società industriale e del processo di controllo sociale vengono ad assumere i tratti di una nuova condizione naturale, di fronte alla quale gli individui sarebbero impotenti ed inermi come lo erano nella preistoria di fronte all'incontenibile violenza della natura.

Un'analoga rimozione del conflitto sarebbe presente anche in Habermas, con la conseguenza di depotenziare il senso critico della sua impostazione teorico-comunicativa, da intendersi invece, nella lettura di Honneth, come «una comprensione dell'ordine sociale come rapporto comunicativo, mediato istituzionalmente, tra gruppi integrati culturalmente, il quale rapporto, fin quando i poteri sociali sono distribuiti asimmetricamente, non può che compiersi attraverso il medium del conflitto sociale».

E' questo il tema che sarà ripreso e approfondito in Lotta per il riconoscimento, dove Honneth inizia a pensare il conflitto come pratica di riconoscimento intersoggettivo di determinate dimensioni sociali dell'individualità umana. Inizia qui un confronto e una reinterpretazione della filosofia politica di Hegel, e in particolare della sua nozione di eticità. Si tratta di prendere le mosse da quelle forme di misconoscimento, come l'esclusione, che danno luogo a conflitti per l'estensione sia del contenuto materiale sia della portata sociale dello status di una persona giuridica.

Ciò che è più importante è il fatto che nel conflitto è già implicito il superamento di un modo atomistico di considerare gli individui, concezione che caratterizza buona parte della critica comunitarista al liberalismo. Per Honneth i soggetti in lotta non possono essere considerati come singoli isolati che agiscono in modo puramente egocentrico, poiché la dimensione del conflitto è intrisa di relazioni intersoggettive che fluidificano la natura dei rapporti e lavorano all'universalizzazione dei diritti. Si tratta di assumere fino in fondo la «disintegrazione del mondo di vita sociale», che Honneth aveva diagnosticato nella sua Diagnose der Postmoderne (Desintegration. Bruchstuecke einer soziologischen Zeitdiagnose, Fischer, 1994), non solo per quanto di distruttivo essa porta in termini di dissoluzione delle infrastrutture comunicative, ma in positivo come possibilità di nuovi spazi di libertà.

La patologia del moderno, decifrata nei termini dell'isolamento del singolo e di un deficit comunicativo, trova nel ripensamento dei concetti hegeliani di «riconoscimento» ed «eticità» possibili via d'uscita. Superando imperituri pregiudizi antihegeliani, qual è quello che ne denuncia gli esiti antidemocratici, Honneth con Il dolore dell'indeterminato mette a fuoco il contenuto spiccatamente hegeliano della sua teoria, lavorando ad una sua attualizzazione. L'eticità hegeliana, letta in un senso postradizionale, diventa «terapia», liberazione dal dolore dell'isolamento individuale in un'idea di libertà che vede nell'interazione la condizione della libertà individuale. La patologia del moderno, già delineata da Hegel come «solitudine», «vuotezza» e «avvillimento», si configura come un generico soffrire di indeterminatezza, al quale non si tratta di contrapporre sfere di rapporti più o meno tradizionali ai quali l'individuo deve sottomettersi o, peggio ancora, che lo Stato deve tutelare, si tratta invece di favorire le «condizioni comunicative che costituiscono il presupposto sociale per cui tutti i soggetti possano realizzare in egual misura la loro autonomia». Si tratta di pensare ad un'idea fluida di eticità articolata attraverso pratiche e lotte di riconoscimento. Se infatti l'eticità è intesa come l'insieme delle condizioni intersoggettive che fungono da presupposti dell'autorealizzazione individuale, allora la lotta contro il misconoscimento, quale può essere l'esclusione da determinati diritti, costituisce essa stessa, in quanto pratica intersoggettiva, un momento dell'etico. Al di là del paradigma politico della neutralizzazione del conflitto, la politica può dunque essere pensata come insieme di pratiche che anziché estromettere la natura polemica del conflitto, la assume fino in fondo come potente motore di trasformazione e universalizzazione.

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