CULTURA

Una guerra blasfema

DI GRAZIA OTTAVIO,IRAQ/USA

Nell'ultimo libro di Bruno Forte - La guerra e il silenzio di Dio. Commento teologico all'ora presente, Morcelliana, pp.103, euro 8,50 - lo sguardo del teologo napoletano abbraccia i devastanti scenari che si sono aperti tra due date che stanno segnando la storia di questo inizio del millennio: 11 settembre 2001 e marzo 2003. Dall'attentato terroristico alle Torri Gemelle di New York allo scoppio della guerra voluta da Bush e Blair. Uno sguardo che diventa subito pensiero tagliente e lucido nella lunga notte che sembra avvolgere il mondo. Una notte resa ancora più fitta e impenetrabile dai sinistri presagi che si addensano ora più che mai. Forte ha commentato quasi quotidianamente le tappe dolorose di questo tempo sulle pagine del Mattino di Napoli e ora questo corpo a corpo con una cronaca brutale e sanguinaria viene riproposto in volume. Venti tappe: tanti sono i piccoli, densi capitoli del libro che narrano i momenti salienti di questo devastante cronaca.

La domanda che le accompagna è: quale commento è possibile all'ora presente per un teologo? Tra le macerie della guerra si addensano - oltre all'odore acre della morte di innocenti -una serie di interrogativi che sembrano non sfiorare neppure chi gioca con la possibilità di ridisegnare il mondo secondo l'agghiacciante principio della guerra preventiva.

Gli interrogativi di Forte sono quelli richiamati dallo stesso pontefice. In particolare, quello angoscioso sul silenzio di Dio. Domanda terribile che ha accompagnato anche altre epoche della storia e che si ripropone terribilmente in questo tempo di «povertà», arroganza e follia, dove la politica ha smesso ancora una volta di essere il luogo della mediazione per diventare una statua infranta e la forza del diritto si è trasformata nel diritto della forza.

All'indomani dell'11 settembre Forte scrive: «Di fronte ai tragici eventi accaduti in America e al dramma della guerra in atto il bisogno di silenzio e di preghiera si unisce al desiderio di condividere qualche riflessione nata dalle domande che tutti ci siamo posti: perché questa strage?». L'interrogativo sul «perché» dilaga sull'assenza di parole che accompagna ogni forma di fondamentalismo e integralismo che trasformano ogni fede religiosa in regime di verità, nel «sogno allucinante» di un «dominio violento da imporre al mondo intero» in nome di Dio. Siamo di fronte alla religione trasformata in ideologia. Si tratta di un rischio grandissimo, perché in essa si genera una devastante confusione fra bene e male, dove il male è, ovviamente rappresentato da chi non la pensa come noi, da chi è diverso da noi, da chi ha modelli culturali e percorsi di vita diversi dai nostri. L'altro diventa tout court la barbarie da combattere. Del resto in queste settimane di guerra abbiamo assistito a uno scialo vergognoso e blasfemo dell'uso del nome di Dio, soprattutto da parte di Bush e persino di Blair. Non possiamo ignorare che proprio Bush si presenta come un campione di quel conservatorismo fondamentalista religioso che accomuna gran parte del suo entourage e che fa eco a estremisti della fede che negli Usa hanno visto i fatti dell'11 settembre come segno della fine della storia, antifona di una nuova era. Una sorta di armagheddon finale tra le forze del bene e quelle del male. Appunto. Eppure Dio non è questo. Il credente può solo fare compagnia a Dio nel suo dolore e nel suo silenzio, rispettoso della libertà umana. E tuttavia: che fare? La risposta non può essere la vendetta né la guerra preventiva. La risposta risiede nella giustizia. E la giustizia esige una verità senza manipolazioni.

Forte è convinto che la risposta data dal governo degli Stati Uniti alla sfida dell'11 settembre sia stata la peggiore: la guerra in Afghanistan non ha prodotto un bel nulla. Sugli altri fronti - a cominciare da quello mediorientale - la pace sembra sempre più lontana. Il pericolo atomico si è andato accrescendo: basti pensare alla Corea del Nord che peraltro non ha mai subito minacce paragonabili a quelle agitate contro l'Iraq. Ha vinto la barbarie che ha segnato il fallimento dell'Onu. Il «gendarme del mondo» e i suoi vassalli hanno dimostrato di infischiarsene del diritto internazionale, delle regole che sole possono garantire l'umanità dai conflitti armati.

Ora che, dicono, la guerra è finita, qualunque cosa accada, l'autorità e la credibilità dell'Onu è gravemente intaccata. Gli equilibri faticosamente raggiunti a prezzo delle tragedie del `900 sono stati spazzati via dall'amministrazione Bush. La crisi irreversibile dell'Occidente si misura non solo e non tanto dentro il quadro semplicista dello «scontro delle civiltà», quella occidentale e quella islamica, con i loro retroterra religiosi, ma dentro un dualismo che vede da una parte «la logica di dominio ostentata dagli Usa e dall'altra la riserva del patrimonio culturale e morale del continente europeo». Lo scontro insomma non è fra cristianesimo e islam, ma fra un Occidente Usa che assolutizza se stesso e si sente investito di un «magnifico destino» di superpotenza e un Occidente europeo che potrebbe avere una diversa voce e proporre vie alternative fatte di dialogo e cultura di pace. Peccato che oggi in Europa si aggirino personaggi che sono ridicoli buffoni di corte.

Secondo Forte, il vero scontro non è fra mondi religiosi, ma fra le fedi viventi e i fondamentalismi, tutti, che non sono altro che vuote ideologie violente e cieche rispetto al vero bene dell'umanità. E qui si inserisce l'elemento nuovo costituito dai movimenti per la pace con il loro carico di forza etica e morale, fattore decisivo per l'agire politico.

La sete di speranza che costituisce un patrimonio comune alle fedi viventi, con i loro simboli, la loro trepidante attesa, può rompere gli assordanti silenzi che caratterizzano l'orrore di questa guerra e delle altre che verranno imposte. Il primo silenzio è quello dei morti: le loro immagini sono state «liberamente censurate» dai giganti dell'informazione, perché non si incrinasse la propaganda e non fossero smascherate le menzogne. Il secondo silenzio è quello della verità, fatto di smentite e di immoralità politica. C'è un silenzio, sostiene Forte, che non attiene solo ai fatti, ma anche al futuro: che ne sarà dei prossimi anni? Degli assetti del mondo, della dignità di milioni di donne e uomini? Infine, il terzo silenzio: quello di Dio. I credenti sanno che questo silenzio è lo spazio difficile della libertà. Difficile libertà che ci riguarda tutti e che dovrebbe essere lo spazio per custodire, nella speranza, un mondo che esige la pace.



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