ARTICOLO

Aiuti da far paura

ALBERTI FABIO,IRAQ/ITALIA

Una parte consistente del centro-sinistra ha deciso di separare le proprie posizioni da quelle espresse dal movimento per la pace. Dopo la decisione del governo di appoggiare l'attacco all'Iraq in difformità dalla posizione di larga parte della opinione pubblica italiana, questo pone un ulteriore problema di rappresentatività del ceto politico italiano e comporterà un indebolimento dello stesso movimento pacifista. La cosa più pericolosa della astensione sulla mozione del governo è però la legittimazione della commistione tra militari ed aiuti che da anni, in particolare dopo il Kossovo e l'Afganistan, la comunità umanitaria internazionale tenta di denunciare. Non ci si può opporre, è stato detto, ad interventi umanitari. Ma il punto è proprio questo: non di intervento umanitario si tratta. Per definizione, un intervento umanitario deve essere caratterizzato dalla neutralità, dal non avere fini politici e dall'essere destinato a tutte le vittime a prescindere da quale parte del fronte si trovino. E queste caratteristiche mancano tutte e tre nell'intervento approvato dal parlamento, che infatti è posto sotto il coordinamento dell'Ufficio umanitario dell'esercito Usa, un organismo non neutrale, ma addirittura responsabile della crisi umanitaria. Nello stesso tempo è fin troppo scoperta la finalità politico-propagandistica dell'iniziativa, volta a recuperare lo strappo che il governo ha fatto con la opinione pubblica italiana e con parte consistente della stesso elettorato della maggioranza. Infine - il Pentagono lo ha detto esplicitamente - l'intervento è finalizzato a recuperare il consenso della popolazione locale.

Nemmeno la destinazione universale dell'intervento può essere garantita: quale assistenza verrà data ad eventuali oppositori del nuovo regime in formazione? Non è un caso che gli interventi inizino da dove gli Usa hanno già insediato amministrazioni locali.

La stessa motivazione della necessità di garantire la sicurezza è risibile: in Iraq ci sono già un gran numero di soldati, sufficienti per garantire, se se ne ha la volontà e come sarebbe dovere delle forze occupanti secondo il diritto internazionale, la sicurezza dei cittadini iracheni, degli aiuti e degli operatori umanitari. In assenza di un mandato delle Nazioni Unite, l'invio di militari in Iraq si configura come partecipazione all'occupazione militare: è cioè come un illecito internazionale.

Se le finalità sono umanitarie, molto più utile per le popolazioni irachene sarebbe stato il destinare le ingenti somme che verranno sprecate per inviare e mantenere in Iraq un contingente militare al finanziamento, ad esempio, del programma di ripristino della acqua potabile a Bassora che la Croce Rossa internazionale sta gestendo già in questo momento.

L'impressione è però che non siano i soldati a servire agli aiuti, ma esattamente il contrario: che gli aiuti siano solo il pretesto per inviare comunque soldati in Iraq, condizione per partecipare al concerto delle nazioni occupanti al momento delle decisioni sui contratti per la ricostruzione. Non è un caso infatti che all'incontro di Varsavia sulla ricostruzione siano stati invitati dagli Usa solo la Polonia, l'Australia e la Gran Bretagna: i paesi che hanno partecipato alla guerra.

Per opporsi a questo si è formato a Baghdad un "coordinamento delle Ong indipendenti" che raggruppa tutte le Organizzazioni che non sono disponibili a coordinarsi con l'Esercito Usa e di cui il "Tavolo di solidarietà con le popolazioni dell'Iraq" fa parte, mentre le agenzie delle Nazioni unite si sono già dette indisponibili a farsi coordinare dai militari, come pure, per quanto se ne sa, l'Ufficio degli aiuti umanitari della comunità europea. Il Governo, invece, va in direzione opposta e parte consistente del centrosinistra, incredibilmente, dopo aver detto che nessun intervento doveva essere fatto al di fuori del mandato Onu, ha lasciato fare. Lo strappo è forte.

Presidente del Tavolo di solidarietàcon le popolazioni dell'Iraq

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