VISIONI

Mi chiamo Bouzid, e adesso sono iracheno

DE FRANCESCHI LEONARDO,ITALIA/ROMA

L'applauso più forte del festival della XIIIa edizione cinema africano è andato a Nouri Bouzid, regista tunisino di Bambole d'argilla, quando salendo sul palco per ritirare il secondo premio per i lungometraggi, ha esordito dicendo di sentirsi un iracheno. Qualche giorno prima, aveva cominciato la conferenza stampa così: «Non riesco a parlare del film, astraendo da tutto ciò che sta succedendo. Mi domando se davanti a un fatto così non sia meglio spegnere la cinepresa, visto che non serve a niente fare cinema». Eppure il suo cinema, dallo scandalo di L'uomo di cenere - il primo film arabo a mettere a nudo l'immaginario sessuale maschile - all'affresco al femminile Bent familia, appare più che mai necessario, in un momento in cui da più parti si ricostruiscono con forza steccati culturali, nascondendosi dietro alibi di comodo. Infatti, anche dietro questa storia di piccole e grandi donne di origini contadine traviate dalla modernità urbana, si nasconde una dolorosa meditazione sull'uomo arabo di oggi, incapace di prendere una posizione autentica e originale, fra le opposte tentazioni dell'integralismo e della globalizzazione. Basti pensare al personaggio di Omrane, il mediatore che piazza le bambine dei villaggi come domestiche nelle case dei ricchi borghesi di Tunisi: nel film, seguiamo le vicende di due di loro, una bambina (Feddha) e una giovane donna (Rebah). «Anzitutto, ho scelto di mostrare dei personaggi dimenticati e castrati. La piccola Feddha è il personaggio che sento a me più vicino, nel suo rapporto istintivo, ribelle e creativo, con la vita. Omrane è una figura complessa e molto vicino alla realtà non solo tunisina ma araba. Fa qualcosa di sbagliato, vive nel rammarico, nel senso di colpa, ma non sa per cosa. È completamente perduto, proprio come il popolo arabo. Non sa cosa deve rimproverarsi, non sa cosa vuole, è castrato, frustrato e dimenticato. Ha un amore folle per Rebah che non si realizza, perché questa ragazza piomba nella sua vita, rivelando le sue debolezze e la sua solitudine. Omrane, che è stato costretto a sposare un'altra ragazza per lavare l'onore di un uomo (il vecchio Baba Jaafar), ha subito un'umiliazione insostenibile nella nostra società. Per questo, fino alla fine non riesce ad accettare di poter amare Rebah, che per giunta è incinta di non si sa chi. Perché possa arrivare ad accettare questo e perché il pubblico (un pubblico arabo, anzitutto) possa seguire il suo percorso e condividerlo, ci vuole un tempo drammaturgico preciso, che è poi quello del film. La nostra società rimane tuttora dominata da un complesso difficile da tradurre e spiegare, che è la ragiulìa. È una sorta di senso dell'onore virile, che impedisce per esempio a un uomo di ammettere davanti gli altri di avere dei problemi».

Diversamente da Bent familia infatti, in cui per così dire emergeva il tuo lato femminile, qui si avverte con insistenza la presenza di un punto di vista maschile, con tutte le dolorose implicazioni che ne derivano, uno sguardo che in qualche modo reifica i corpi, come quello sensuale di Hend Sabri (Rebah). «Tenevo molto a far sentire questo sguardo maschile. È vero che i personaggi femminili appaiono più liberi, Omrane è carico di blocchi ed ostacoli che non capisce nemmeno lui. La scommessa era fare in modo che lui rimanesse incosciente di tutto questo e anche lo spettatore conservasse un po' di mistero, di ambiguità. Ci sono delle scene che ho tagliato, che spiegavano il rapporto di Omrane con Baba Jaafar, ma sarebbe stato tutto troppo chiaro».

Omrane annega le sue frustrazioni nella birra; uno dei suoi compagni di sbronze commenta: «Quelli con il turbante e la barba ci hanno rovinato l'esistenza». «Gli integralisti rappresentano un contropotere importante. C'è una ripresa importante di questo spirito, alimentato anche dalla televisione. L'emittente satellitare più seguita in Tunisia è Al Manar, quella degli hezbollah. Gli stessi feuilleton egiziani che commuovono milioni di arabi fanno il gioco dell'integralismo, perché riproducono tutti i loro valori fondanti: il rispetto totale di Dio, del padre, della famiglia, la punizione del malvagio, ecc. Magari sono realizzati in Egitto, ma se sono produzioni private, per rientrare nei costi devono essere vendute a tutti i paesi arabi, compresi quelli del Golfo. Per questo devono rispettare i valori dei paesi più arretrati. Noi in Tunisia siamo costretti ad accettare le costrizioni della società saudita, anche se vanno contro la legge tunisina (la poligamia, per esempio). La società avanza in maniera incosciente e lenta verso l'integralismo sociale e nessuno si rende conto di questo».

Immagino che questa guerra stia alimentando ancor più questa ripresa dell'integralismo, in Tunisia... «In questi giorni, molti stanno ripiegando su posizioni nazionaliste. Nazionalismo e integralismo si stanno abbracciando e questo è il vero pericolo, - risponde Bouzid - Gli americani mettono insieme terrorismo, nazionalismo e integralismo e questo fa il gioco degli estremisti, perché dà loro una forma di riconoscimento. Visto che li si riconosce in questa forma, loro la assumono. C'è un sentimento diffuso che questa volta si tratta di un'occupazione colonialista, pura e semplice, mentre nella prima guerra c'era una forma di legittimità internazionale. Si dà a Saddam e al suo entourage l'occasione di essere considerate vittime. Bush è un generatore di integralisti, sta accendendo l'odio di tanti, pronti a morire, in Egitto, in Siria, in Algeria. La caduta di Saddam non cambierà nulla, mentre gli americani soffriranno a causa di questo sentimento di umiliazione che hanno diffuso, anche se non so ancora come». Una nuova occasione per vedere e riflettere su questo toccante affresco dell'immaginario e del vissuto in un paese arabo di oggi sarà, dopo la kermesse milanese, la programmazione all'interno dell'Africa festival Roma, in questi giorni al Farnese e al Detour: Bambole d'argilla è previsto per stasera (alle 20.30) e sabato (alle 22.30).

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