Il mantra recitato ogni sera da Ramesha si perde tra i chiaroscuri della lampada a petrolio. In un angolo della sua casa di Bhopal, un vecchio manifesto scolorito mostra ancora il logo blu della Union Carbide (Ucar), la fabbrica da cui, il 3 dicembre 1984, si sprigionarono 27 tonnellate di isocianato di metile (mic) e altre 13 tonnellate di gas micidiali usati come intermedi per la produzione del Sevin, un fertilizzante che avrebbe dovuto permettere all'India di concludere vittoriosamente la sua Rivoluzione Verde. Il Sevin non servì a far raggiungere l'autosufficienza alimentare al paese, in compenso falciò le vite di decine di migliaia di indiani di Bhopal e dintorni, tra cui il padre e 3 dei 5 fratelli di Ramesha. «Lo tengo per non dimenticare», afferma, riferendosi al poster, il ventitreenne asmatico, che ancora oggi risente dei postumi del gas inalato. Ogni mese Ramesha, come centinaia di altri connazionali colpiti dal mic, si reca alla Sambhavna Clinic, dove viene curato con terapie derivate dall'antica tradizione indiana combinate con somministrazioni di farmaci.
Bhopal è stata la strage più immane della storia industriale, eppure nessuno ha pagato per le proprie responsabilità, piccole o grandi che siano. Non ha pagato Arjun Singh, il primo ministro del Madhya Pradesh che, in cambio di voti per la sua rielezione, ha permesso a migliaia di miserabili di stanziarsi nelle aree limitrofe alla fabbrica nonostante la sua pericolosità era stata più volte evidenziata; non ha pagato Warren Anderson che nel 1984 era il presidente dell'Ucar, il quale si è vigliaccamente reso latitante sino a pochi mesi fa, quando Greenpeace è riuscita a rintracciarlo nel suo esilio dorato di Long Island. Il ritrovamento di Anderson è stato salutato con soddisfazione da molti di coloro che da anni si occupano delle vittime di Bhopal, tra cui anche Dominque Lapierre, autore del libro Mezzanotte e cinque a Bhopal.
Lapierre, comunque non si fa illusioni e mi dice di essere «sfortunatamente convinto che Anderson potrà godersi la sua ricca pensione, anche se i muri di Bhopal sono coperti di scritte che dicono: `Impiccate Anderson!'». Del resto, l'incidente di Bhopal è stato anche il motivo di cinici e abominevoli sfruttamenti finanziari: quando i prezzi delle azioni dell'Union Carbide crollarono da 48 a 32 dollari, lo yuppie texano Sid Bass si affrettò a comprarne il 5%. Nessuno in borsa ebbe a che ridire: fu solo un ottimo e acuto investimento. Alla faccia dei diritti umani squadernati da Washington.
«Si dice che gli Usa sono una grande democrazia, ed è vero, almeno entro i suoi confini. Ma al di fuori di essi la libertà che dispensano è quella dell'umiliazione, del soggiogamento al servizio del libero mercato», mi spiega la scrittrice indiana Arundhati Roy. Me lo conferma indirettamente anche Gianni Tognoni, ricercatore del Mario Negri e membro della Commissione internazionale medica su Bhopal: «La multinazionale Hoffman-La Roche ha trattato la popolazione di Seveso con ben altra attenzione di quella dedicata dalla Union Carbide a Bhopal».
Le leggi del mercato sono spietate: chi rende profitto ha diritto ad una maggiore considerazione. Mi chiedo che valore abbiano le parole di John Musser, capo dell'Ufficio Stampa della Dow Chemical, la ditta che nel 1999 ha assorbito ciò che restava dell'Ucar: «La nostra filosofia non ci impedisce di lavorare eticamente ed al tempo stesso guadagnare profitti. In tutti gli stabilimenti Dow sparsi nel mondo la nostra etica ci impone di anteporre la sicurezza al profitto».
Nonostante l'Ucar sia ufficialmente scomparsa dal mercato, la sua losanga (colorata in verde anziché in blu) continua a sventolare in centinaia di fabbriche della Praxair, separatasi dall'Union Carbide nel 1992. In Italia, dove la stampa del settore ha reagito all'incidente di Bhopal difendendo Warren Anderson, l'Union Carbide e la tesi del sabotaggio dell'impianto indiano, la Praxair è presente con due delle principali compagnie produttrici di gas industriali: la Rivoira di Torino a la Siad di Bergamo. La direzione della Rivoira, a differenza della Dow Chemical, mostra tutta la sua reticenza nell'affrontare l'argomento; la mancanza di informazione all'interno del gruppo ha opportunamente cancellato ogni riferimento con l'Ucar, mentre alcuni dirigenti della consociata Siad imputano al sabotaggio la causa dell'incidente.
«E' logico che l'Union Carbide cerchi di divincolarsi dalle sue responsabilità», mi dice la nipote del Mahatma Gandhi, Thara Gandhi; «il vero problema è che i poveri non hanno mai avuto possibilità di difendere il loro stato di vittime». E mentre il treno mi porta via dall'inferno di Bhopal, mi tornano in mente quanto mi ha detto recentemente Amartya Sen, l'economista indiano Premio Nobel per l'Economia: «Un povero è povero quando non ha possibilità di scegliere».