Mentre il ministro della difesa Martino annunciava che l'Italia si è impegnata con gli Usa a fornire basi e spazio aereo per attaccare l'Iraq, a Baghdad consegnavamo 12 tonnellate di aiuti umanitari portati dal primo aereo di una compagnia di bandiera italiana atterrato al Saddam Airport. Medicinali, coperte, cibo per bambini donati da Un ponte per..., «No Local», «Sempre insieme per la pace» e dall'istituto buddista «Soka Gakkai» che verranno distribuiti dalla locale Mezza Luna Rossa. A bordo del 747 Alitalia anche 11 casse di libri, donazione della editrice Charta e dei fotografi italiani, alla biblioteca della fotografia di Baghdad. L'embargo è anche esclusione di un popolo dalla vita culturale del mondo. Un volo fortemente osteggiato dal governo italiano. Da oltre un mese gli organizzatori attendevano la autorizzazione dell'Onu per scoprire, poi, che l'Italia non aveva nemmeno inoltrato la richiesta. C'è voluta la minaccia di occupare l'ambasciata italiana a Baghdad che, con Vittorio Agnoletto, don Bizzotto e i deputati Cento e Desimone, abbiamo dovuto fare durante le delegazione parlamentare in Iraq di inizio dicembre, per sbloccare il volo sul quale erano anche Giovanni Bianchi (Margherita), il maratoneta Pino Papaluca e Nina Kostina della Frank Foundation, vicina alla fondazione Gorbaciov. L'iniziativa è stata promossa dal premio Nobel per la pace, Betty Williams, per portare anche in Iraq una copia dell'appello contro la guerra preventiva e per il disarmo lanciato a Roma due mesi fa dalla assemblea dei Nobel per la pace e firmato tra gli altri da Rigoberta Menchù, Perez Esquivel Walesa e Gorbaciov, contro la tendenza a riabilitare la guerra, che definisce «inammissibile ogni azione unilaterale contro l'Iraq» ed «immorale» la minaccia dell'uso dell'arma nucleare. La consegna dell'appello a Tarek Aziz è stata l'occasione per il vicepremier iracheno di ribadire l'impegno dell'Iraq al rispetto della risoluzione 1441 del Consiglio di Sicurezza Onu e per richiedere un ripensamento del governo Berlusconi dalla linea filoamericana che sta assumendo l'Italia.
Ma al di là dei meeting formali scopo della missione era soprattutto l'incontro con la situazione umanitaria dell'Iraq, «rompere l'embargo inumano», come lo ha definito la Williams con un atto concreto. Obiettivo della volitiva Nobel irlandese, insignita nel 1976 per il contributo alla ricerca di una soluzione politica alla vicenda dell'Ulster, è promuovere un ponte aereo umanitario. «Voglio tenere aperto il canale inaugurato con questo volo per far arrivare in Iraq le medicine che la risoluzione Oil for Food non garantisce». Le medicine che mancano ce le hanno elencate al «Mansur Hospital». La moderna struttura sanitaria, oggi visibilmente segnata da una decennale carenza di manutenzione, è il principale centro di riferimento per la cura dei tumori infantili: leucemia, soprattutto, ma anche altre forme tumorali rare nei bambini che si sono fatte preoccupantemente frequenti dopo la guerra del Golfo, «colpa dell'uranio impoverito» ci dicono i medici. Arrivano qui bambini da tutto il paese date le ancora peggiori condizioni dei centri di Bassora e Mosul. Arrivano quando possono: «Un gran numero di pazienti semplicemente non viene perché la famiglia non ha i soldi per pagarsi il trasporto o la permanenza a Baghdad - ci dice un medico di guardia presso il reparto di ematologia - comunque anche quelli che sono qui le speranze di guarigione sono praticamente nulle perché non abbiamo farmaci sufficienti a garantire la gestione corretta dei protocolli di cura». «La chemioterapia è una cura che ormai garantisce un altissimo livello di guarigione, ma richiede la somministrazione di diversi farmaci a scadenze precise e spesso manca uno dei principi attivi». Le ragioni sono molte: dal rifiuto di alcune ditte statunitensi a fornire i farmaci, al blocco, quasi sempre degli Usa, dei contratti di acquisto, alla stessa complessità del meccanismo della risoluzione «Oil for food» che fa sì che tra l'ordine e la consegna dei farmaci possano passare molti mesi o anche anni.
Insomma la condanna a morte di decine di bambini che potrebbero essere salvati e che affollano ignari della propria sorte le corsie di questo ospedale. «Vorrei che Berlusconi passasse una giornata tra questi i bambini prima di decidere di aderire alla guerra di Bush sono sicura che ripenserebbe l'appoggio che l'Italia dà alla politica dell'embargo» ha commentato Betty Williams nella conferenza stampa di ieri al ritorno della missione. Il Nobel per la pace se l'è presa anche con i giornalisti: «sono venuti in Iraq ed hanno visto Tarek Aziz e l'ospedale, ma hanno scritto solo del primo. Quando i giornali parleranno dei bambini e non solo dei politici? Così si alimenta la propaganda di guerra!».
* Un Ponte per...