VISIONI

Alÿs, il nomade che ama la pittura

MOSTRE
MACRÌ TERESAROMA

Francis Alÿs non è un artista conosciutissimo a Roma. Così come praticamente sono sconosciuti altri artisti che, in questo momento, conducono una ricerca obliqua e ubiqua. Vengono in mente Gustavo Antigas, Jorge Macchi, Melanie Smith, Carlos Amorales, Gülsün Karamustafa, artisti che tracciano una distanza stellare tra un panorama internazionale esaltante ed uno «locale» sommesso in cui non si percepiscono i respiri più intensi della ricerca contemporanea. La mostra al Centro per le arti contemporanee dedicata all'Obra pictorica 1992-2002 dell'artista belga-messicano, curata da Paolo Colombo, non può che essere una felice esperienza per chi è condannato a seguire le sue esposizioni «in trasferta». Unica è sembrata la possibilità di seguire il suo work in progress installativo nello spazio temporale che ha legato la conferenza stampa al vernissage in cui l'artista ha continuato a ritoccare la sua installazione pittorica. Alÿs, rinchiuso nel suo white cube situato al centro della sala espositiva, quasi un pensatoio delle meraviglie, continuava a ritagliare le figurine, le icone popolari e i fogli di acetato su cui aveva delineato i disegni preparatori, gli studi degli encausti e i suoi appunti. Bisogna comunque evidenziare il peso dell'artista, nato ad Anversa (1959) e trasmigrato nel 1987 a Città del Messico dove vive e lavora attualmente, in quella sua caratteristica polimorfia che rende l'opera pittorica quasi una sorta di «interstizio formale», che si integra in un più denso e macchinoso pensiero del vivere e fare arte. Alÿs è un artista «liquido», che usa e abusa delle strategie rappresentative. Come dimostra la sua azione, quel giro dei continenti percorso da Tijuana a San Diego senza attraversare la barriera fronterizia che delimita Usa e Messico in occasione di inSide 2000. O l'intervento realizzato per la Biennale di Lima (2002) in cui l'artista spostava una duna sabbiosa vicino alla capitale peruviana grazie ad una catena umana formata da cinquecento volontari. O ancora, i suoi paseos (le passeggiate) condotti per le strade di Città del Messico, dell'Avana, di Venezia, nello sforzo di perdersi e di ritrovarsi grazie ad oggetti usati lungo la camminata: un cubo di ghiaccio che si scioglieva durante il tragitto, una barattolo di vernice che tracciava l'itinerario percorso, le scarpe magnetiche che raccoglievano i detriti urbani. Sono soprattutto le sue ossessioni a sollecitarlo, come i cani di Città del Messico fotografati e proiettati su diapositive in una metafora che fiancheggia il film di Alejandro González Iñárritu Amores Perros.

A memoria di ciò la sua Obra Pictorica assume una valenza inedita. Le solitarie figurine maschili e femminili che costantemente incastra di spalle in scenari urbani e paesaggistici trasmettono una empatia ineffabile. Lo stesso spaesamento che emana dai personaggi imprevedibili e marginali di Arturo Ripstein con il quale, certamente, collude quel senso di profondo intimismo. Sbirciando le bacheche preparatorie dei lavori si nota la stessa circolarità prospettica con cui costruisce il lavoro, la stessa mezcla linguistica con cui architetta le piccole tele e i dittici. Questi ultimi asciugano tutto un percorso mentale e iconografico da cui nascono personaggi enigmatici: il profeta, il poeta. Qualcuno ha definito Alÿs un funambolo. Certo, quel suo destreggiarsi su un filo sottilissimo e impercettibile di allusioni tematiche e di dribbling linguistici lo posiziona su un territorio sbilanciato. Tutto il suo mondo include quel senso di fragilità esistenziale che il soggetto contemporaneo condivide con un esistente caotico. A maggior ragione se il territorio in cui si vive è una megalopoli come Città del Messico: luogo dello scontro e del rischio come Alÿs evidenzia nel video Re-enactment, luogo dell'abbandono come in Ambulantes o in Perros.

La mostra aperta fino all'8 febbraio 2003 - che prevede in contemporanea un'esposizione di opere di Giuseppe Caccavale (Afragola, 1960) e un video di Alessandro Pessoli (Cervia 1963) - prodotta dal Centro per le arti contemporanee, proseguirà alla Kunsthaus di Zurigo (28 febbraio-11 maggio) e al Reina Sofia di Madrid (28 maggio-18 agosto). In occasione delle tre esposizioni Francis Alÿs sta ultimando un libro per bambini per la Turner Libros (verrà presentato al Centro il 15 gennaio) in cui condenserà il suo mondo paradigmatico. Ma sarà veramente la conclusione di un viaggio?

Supporta il manifesto e l'informazione indipendente

Il manifesto, nato come rivista nel 1969, è sinonimo di testata libera, indipendente e tagliente.
Logo archivio storico del manifesto
L'archivio storico del manifesto è un progetto del manifesto pubblicato gratis su Internet e aperto a tutti.
Vai al manifesto.it