MONDO

La Chiesa caldea accusa

LA VALLE RANIERO,BAGHDAD

Un grido di dolore si è levato ieri dal vescovo ausiliare della Chiesa caldea Slamon Warduni, che ha ricevuto a Baghdad a nome del patriarca Raphael Bidawid, in questo momento infermo, una delegazione italiana di parlamentari e di esponenti dell'associazionismo. Di fronte al pericolo della scoppio della guerra già dichiarata contro l'Iraq, il vescovo cattolico si è chiesto se il suo popolo soffrirebbe da dieci anni l'embargo e sarebbe oggi minacciato di distruzione, se sotto la sua terra non ci fosse il petrolio. Sulla questione delle armi di cui l'Iraq sarebbe in possesso, il presule ha esposto la posizione della Chiesa contraria non solo all'uso ma all'esistenza stessa delle armi in quanto portatrici di odio e di morte. Ha anche premesso di non sapere - in quanto Chiesa - se le armi cercate dagli ispettori in Iraq esistano davvero. Aggiungendo che c'è una colpa nello spendere per le armi invece che per lo sviluppo. Ha tuttavia lamentato la profonda ingiustizia della pretesa che solo l'Iraq sia disarmato o sia duramente perseguito a causa delle armi, quando tutti gli altri Stati della regione e del mondo non fanno che armarsi, quando Israele detiene le armi nucleari, e quando l'Iraq stesso è stato in passato fortemente armato dall'Occidente. Mons. Warduni ha fatto riferimento a un appello che dopo una giornata di digiuno e di preghiera la Chiesa di Baghdad ha rivolto alle altre Chiese e ai governi dei paesi rappresentati nella capitale, perché al popolo iracheno siano risparmiati gli annunciati lutti e i dolori dell'attacco militare. Ha tuttavia lamentato la difficoltà di comunicare al mondo esterno la grande preoccupazione della Chiesa ed ha sottolineato la prudenza con cui essa deve muoversi, perché ogni difesa della vita e della pace del popolo iracheno viene distorta e rovesciata in accusa, come se avesse il significato di un appoggio al governo di Saddam Hussein. Alla domanda su che cosa pensasse dell'intenzione del presidente americano Bush di voler «liberare» l'Iraq dal regime di Saddam, il vescovo ha risposto con emozione che lo scopo ed il risultato di tale liberazione sarebbe l'assoggettamento dell'Iraq ad una effettiva schiavitù sotto il dominio degli Stati Uniti ed una occupazione militare, che sarebbero distruttivi per l'Iraq: «una volta - ha detto - si facevano schiavi gli uomini, adesso si fanno schiave le nazioni». Perciò la Chiesa rifiuta e denuncia questo tipo di liberazione. La Chiesa soffre particolarmente l'emergenza in cui si trova il Paese a causa delle lunghe guerre, dell'embargo e dei pericoli cui oggi è esposto, in particolare per la spinta all'emigrazione provocata da tutto ciò; essa porta via dall'Iraq le migliori energie, con una notevole emigrazione anche dei cristiani. Così la loro percentuale diminuisce, in una situazione in cui la Chiesa mentre gode di una totale libertà di culto, non gode della libertà religiosa nel senso del proselitismo, cioè di annunciare il suo messaggio: situazione che non è tuttavia specifica dell'Iraq, ma di tutto il mondo islamico. Mons. Warduni ha aggiunto che tra le conseguenze più gravi dell'embargo c'è la «perturbazione delle coscienze»; la lotta per la sopravvivenza, in condizioni di povertà, mancanza di cibo e disoccupazione produce la spinta a rubare e a danneggiare gli altri, quale prima non si dava. La delegazione italiana ha anche visitato un ospedale pediatrico che fronteggia, senza farmaci e attrezzature, l'emergenza del drammatico aumento della mortalità infantile, salita negli ultimi anni al 130 per mille, e delle malattie precoci, in particolare le leucemie.



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