CULTURA

Le bugie hanno le guerre lunghe

BOARI TIZIANA,KOSOVO

L'abbattimento del muro di Berlino nel 1989 avrebbe dovuto portare una nuova era di pace e democrazia, secondo le speranze di molti, e invece è stato l'inizio di una catena perversa di conflitti mondiali sempre più pericolosi per l'umanità intera: l'Iraq, l'ex Jugoslavia, l'Afghanistan e ora di nuovo l'Iraq, per non parlare dei conflitti «dimenticati», come quelli in corso nella Costa d'Avorio, in Liberia, in Sudan, in Colombia. Chissà perché questi venti di guerra che spirano nel mondo occidentale nei confronti dell'Iraq ricordano tanto situazioni del passato ed errori da non ripetere, riserve da non tenere nei confronti della pace. Nel frattempo, la macchina delle menzogne di guerra è ripartita anch'essa puntuale, come ogni autunno. Ricordate una certa, esilarante quanto tragica, filmografia americana degli ultimi anni, che denunciava i meccanismi di disinformazione allo scopo di creare le guerre virtuali fino a farle diventare reali? C'è da chiedersi se sia servita a cambiare le coscienze, la consapevolezza delle strumentalizzazioni in atto, a far aprire gli occhi. Così non appare in questi giorni del tutto fuori luogo il contributo che fornisce alla loro comprensione, seppur guardando alla guerra nella e contro la ex-Jugoslavia, il giornalista tedesco Jürgen Elsaesser con il suo libro Menzogne di guerra (trad. Mara Oneta, ed. «La Città del Sole»). Elsaesser, 45 anni, redattore del mensile tedesco di sinistra Konkret, con un metodo che lui stesso ha definito «da criminologo», ripercorre i passaggi essenziali della campagna massmediatica che demonizzò Milosevic, l'imputato numero uno del Tribunale Speciale dell'Aja che di brani di questo libro (già tradotto in serbo e in uscita nella sua traduzione francese) si è avvalso per la propria difesa. Malgrado il lavoro e lo sforzo encomiabile, l'autore pecca di imprecisione filologica e bibliografica, cade su alcune citazioni imprecise e su non poche approssimazioni che automaticamente, con un effetto a domino, rendono il lettore scettico sulla credibilità di tutte le altre interessanti informazioni riportate nel testo. Le operazioni di controinformazione, per essere efficaci, ovvero considerate serie e credibili, non possono permettersi scivoloni di questo tipo.

Il libro tratta in particolare le «menzogne di guerra» che diffuse il governo tedesco per giustificare il primo intervento di sue truppe fuori dai confini nazionali dalla II guerra mondiale. Ma si inizia dalla Bosnia , dalle cifre ballerine sui morti di Srebrenica (1995) fornite dall'allora ministro della difesa Rudolf Scharping: si parlò di 30mila assassinati dalle truppe serbe, quando nell'estate del 2000, alla luce degli ultimi dati e della improvvisa «resurrezione» di circa 3.000 persone nelle liste degli elettori presentate dagli osservatori elettorali dell'Osce in occasione delle elezioni del 1997, si parlò invece di 3.000 vittime, ridimensionando l'episodio, uno dei numerosi capi d'accusa contro i quali Milosevic è chiamato a difendersi proprio in questi giorni dal Tribunale dell'Aja. Certo è che non sono le cifre a due o tre zeri a fare la differenza su un crimine; è tuttavia importante illustrare alcune dinamiche perché poi è comunque sui numeri che si giocano alcune partite, che le guerre vengono approvate dall'opinione pubblica.

Nel marzo 1999 non fu importante, anzi passò sotto silenzio il dato di quei profughi, di tutte le etnie, che attraversarono alla spicciolata il confine tra Kosovo e Macedonia, nei giorni che seguirono l'evacuazione dell'Osce e precedettero i bombardamenti. Questione di qualche giorno, è quello che pensavano tutti. Quanto fu abile e scaltra invece la sovrapposizione semantica tra i treni piombati, le deportazioni, le vittime sacrificali e la Pasqua cattolica che si celebrava di lì a poco da una parte e i profughi kosovaro albanesi in fuga. Così, nel giro di pochissimi giorni, coloro che fuggivano dalle bombe (e cominciarono ad essere numerosi dal 30 marzo soltanto) e venivano evacuati per ragioni di sicurezza divennero gli agnelli pasquali, vittime della ferocia serba. A Pasqua scoppiò lo «scandalo» di Blace e in molti si chiesero come mai l'Alto Commissariato Onu per i Rifugiati non avesse previsto una tale emergenza. Rimase un mistero, poco chiaro anche a coloro che in quei giorni e poco prima in quei luoghi c'erano stati.

Di ben altro spessore e rigore scientifico è invece l'opera, molto citata dallo stesso Elsaesser, del generale Heinz Loquai, già consigliere militare presso la rappresentanza tedesca all'Osce, Il conflitto del Kosovo. Percorsi di una guerra evitabile (Der Kosovo Konflikt. Wege in einen vermeidbaren Krieg, Baden Baden 2000), uno studio e insieme una testimonianza molto rigorosi nella trattazione dei documenti e della storia più recente, un'opera alla quale dovrebbero andare le attenzioni di un editore coraggioso e di un pubblico attento proprio perché rilancia anche la proposta della creazione di una forza europea d'intervento rapido preventivo per la risoluzione e la prevenzione dei conflitti, composta da esperti civili, ben addestrati e pronti a essere dislocati dove necessario con la stessa rapidità di dispiegamento delle truppe militari.

E' inquietante comunque rileggere oggi i meccanismi con i quali una guerra ormai decisa da tempo fu resa «accettabile» all'opinione pubblica mondiale. I tempi sono peggiorati rispetto ad allora, quando già in molti si additava con sdegno alla palese violazione del diritto internazionale che la guerra, angloamericana prima e Nato poi, contro uno stato sovrano come la Federazione Jugoslava aveva rappresentato: il primo attacco militare internazionale partito senza una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu. Con l'attacco all'Afghanistan si passa alla fantomatica risposta al terrorismo, alla «caccia all'uomo» (bin Laden che sembra avere nove vite e il dono dell'ubiquità: roba da studi Disney...), alla «guerra infinita». Si distrugge un paese per colpire un individuo e i suoi adepti. Oggi andiamo verso lo stravolgimento completo del diritto in quanto tale. Assistiamo al rovesciamento completo del principio di presunzione di innocenza fino a prova contraria: oggi sono colpevoli di terrorismo tutti quegli stati che sono sulla lista nera degli Usa e sono colpevoli finché non provano, attraverso il loro assoggettamento completo agli interessi economici e geopolitici americani, di essere «innocenti».

Gli Usa soffrono di una gravissima recessione economica, la guerra è paradossalmente, come è sempre stata, un modo per salvarsi dal disastro economico interno e per l'amministrazione Bush uno strumento di propaganda politica. In Europa oggi è la Germania a dire fermamente «No» alla guerra preventiva contro Baghdad. Lo dice anche la Francia, ma la posizione tedesca oggi ha un valore diverso perché fu proprio la Germania il primo paese Ue a cedere alle pressioni statunitensi nel negoziato di Rambouillet che precedette la guerra contro la Federazione Jugoslava. La guerra è evitabile, parafrasando Loquai, perché è davvero una scelta: di mezzi, di modalità, di tempi. E la consapevolezza del valore di una scelta di pace si sta facendo strada nelle coscienze dell'Europa ogni giorno di più. Forse la lezione del Kosovo è servita a qualcosa. A impedire che la menzogna entri ancora una volta nella storia e diventi verità.

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