SOCIETÀ

Giovani palestinesi fra guerra e droga

LAI CAMILLA,ISRAELE/TERRITORI

Nei Territori occupati si combatte più di una guerra. Oltre che sotto il fuoco israeliano, ogni giorno diversi giovani palestinesi, tra i 18 e i 24 anni, rimangono vittime della droga, soprattutto eroina. La giovane popolazione dei Territori (il 47 % ha meno di 15 anni) rappresenta terreno fertile per gli stupefacenti, grazie alla perenne instabilità e pericolo in cui vive. Famiglie distrutte, giovani rimasti senza la guida di una figura maschile adulta, disoccupazione, mancanza di sbocchi nell'immediato e incertezza per il futuro. Chi non crede nelle drammatiche «soluzioni» dei kamikaze, anestetizza il dolore con la droga. Eroina, ma non solo. Ai primi posti nella classifica delle droghe più consumate figurano hashish e marijuana insieme a eroina e tranquillanti. A Gaza, alla fine degli anni `90, cominciava a intravedersi cocaina, mentre il traffico di anfetamine ed eroina puntava a conquistare il mercato della Cisgiordania. Difficile ottenere dati aggiornati sul consumo di eroina e capire quanti siano i tossicodipendenti in Palestina, per vari motivi. Innanzitutto tabù culturali - per cui l'abuso di sostanze stupefacenti è considerata una debolezza non conciliabile con i principi coranici. Oltretutto, i pochi dati riguardano solo la popolazione maschile. Non perché non ci siano donne tossicodipendenti: solo, non si sa.

Dall'autunno del 2000, poi, con la seconda Intifada, le organizzazioni internazionali, istituzionali e non governative, che si occupano di recupero tossicodipendenti hanno abbandonato il campo, ripromettendosi di tornare quando le acque si fossero calmate. Quindi non ancora. Non ultimo problema per l'analisi, i costi: l'eroinomane è accusato di essere un collaborazionista di Israele, vista la povertà imperante e la convinzione che per una dose si arrivi a tutto. Situazione che l'esercito israeliano (Idf) sfrutta tutta a suo vantaggio, comprando i collaborazionisti con poche dosi. In un sistema di famiglie estese come quello palestinese, rivelare il problema anche di un solo familiare, porta a drastiche punizioni, per collaborazione con il nemico, tutta la famiglia. E purtroppo la povertà, che non è quindi un ostacolo per la diffusione della tossicodipendenza quanto piuttosto un incentivo, cresce.

«Nel primo semestre del 2002 la disoccupazione è salita dal 36 al 50 %, raggiungendo il 63.3 % nei periodi di coprifuoco», ha affermato ad agosto Terje Roed-Larsen, coordinatore speciale Onu per il processo di pace in Medio Oriente. «Il reddito pro capite ha perso 7 milioni e mezzo di dollari al giorno, per un totale di 3,3 miliardi dall'ottobre 2000. E la povertà (calcolata su 2 dollari al giorno, ndr), ha raggiunto il 70%».

Si può tentare un'analisi del fenomeno sulla base di studi e stime precedenti l'ultima Intifada, tenendo presente che nel frattempo la situazione può quindi solo essersi aggravata. Secondo Michael Fuad, del Forum di pensiero arabo, «il 2.4 % della popolazione araba di Gerusalemme est faceva uso regolare di eroina già nel 2000. Per il 60% la perdita del padre era stata la causa decisiva per abbracciare la droga. La prima morte palestinese per overdose risale al 1998 e l'ultimo sequestro significativo è del 1995, quando vennero distrutte dieci piante di papaveri da oppio». Certo un bottino così misero non poteva coprire una delle zone più densamente popolate al mondo come la striscia di Gaza, con 2.888 persone per km quadrato e in cui si registrano ormai oltre 5mila tossicodipendenti. Tanto meno i Territori o Gerusalemme est. Chiaro quindi che per soddisfare le esigenze di un mercato così corposo la droga entri in Palestina nonostante i controlli al confine con Israele e i posti di blocco nei Territori. I soldati israeliani cercano armi, non droga.

Quanto all'Amministrazione anti-narcotici (Ana), che fa capo all'Autorità Palestinese, da tempo non ha più giurisdizione su Gerusalemme est e a stento controlla la striscia di Gaza e la Cisgiordania. «Abbiamo difficoltà ad arrestare i trafficanti», spiega il colonnello Makhmoud al Zuhiri, capo della narcotici a Ramallah. «Se scappano nella zona A, sono fuori dal nostro controllo. E non abbiamo mandato sui cittadini israeliani», aggiunge, lasciando intendere che è proprio da Israele che arrivano i narcotici.

La particolare composizione dello stato ebraico, con «ebrei erranti» provenienti da ogni dove, si inserisce bene nel traffico internazionale di stupefacenti. Già il rapporto annuale del 1996 dell'Osservatoire geopolitique des drogues (Ogd) notava che «gli ebrei sono benvenuti in Israele, e non vengono sottoposti a rigorosi controlli quando arrivano». E che i legami commerciali con il Sud Africa - cresciuti quando c'era l'embargo internazionale contro l'apartheid (mai applicato da Israele) sulla rotta Città del Capo, Anversa, Tel Aviv, New York - non si limitano ai diamanti (Odg, 1996). In più, si legge nel documento, «molte organizzazioni religiose, compresi gruppi fondamentalisti come i Lubavitches, non danno priorità al problema della droga. E alcuni dei loro leader, ricercati in Europa e negli Usa, sono protetti da immunità parlamentare».

«Le droghe arrivano nel sud del Libano, portate da Israeliani e cristiani libanesi e affidate a tassinari siriani», racconta Khassan B., uno dei tassisti intervistati da Odg. Khassam spiega che basta conoscere la polizia di frontiera per eliminare il rischio del viaggio. O aggiungere una mazzetta. Per verificare l'esattezza delle informazioni, un convoglio di Ogd ha viaggiato nell'agosto del 1996 da Istanbul a Gerusalemme, passando per Siria, Libano e Giordania. «Fermati dozzine di volte, non siamo mai stati perquisiti», raccontano. Il 25 agosto del 1996, 3 ministri israeliani decisero di avventurarsi su Allenby Street, a Tel Aviv, per accertarsi delle voci sul traffico di droga. Videro distribuire eroina davanti la stazione di polizia e altre droghe vendute nei bar. Nel gennaio del 1997 l'esercito israeliano ammise che un ufficiale di dogana era stato arrestato per aver favorito il traffico di 14 kg di eroina.

La mafia russa completa il quadro. Un calzolaio di origine uzbeka ha ammesso di essersi comprato il negozio ad Haifa con il ricavato di traffico di eroina in Palestina. «Una volta arrivata, l'eroina attecchisce su giovani palestinesi affetti - spiega una psichiatra che ha lavorato a Gaza l'inverno scorso (e che preferisce rimanere anonima) - da una sindrome che in termini medici si chiama Post Traumatic Stress Disorder (Ptsd), disordine da stress post traumatico. I drogati palestinesi - prosegue - sono giovani vittime traumatizzati da decenni di occupazione e guerra, che usano la droga per godere di quello stato di torpore emotivo e dimenticare, almeno per un po', la loro infelicità». In Palestina, un paese ormai tutto da ricostruire, la priorità assegnata a centri di recupero è ancora molto bassa. Secondo l'ultimo rapporto pubblicato dall'Ufficio Onu per la prevenzione della droga (Undcp) nei Territori, nel 2000 c'era solo un centro che si occupava di recupero tossicodipendenti, l'ospedale psichiatrico di Gaza. Un altro centro, a Khan Younis, sud di Gaza, era gestito da una ong locale. La guerra ha fatto slittare ogni progetto e rivalutare il concetto di emergenza. Intanto, però, un'ennesima causa di morte colpisce ogni giorno i giovani dei Territori, contribuendo a una totale disaffezione della popolazione dalla vita politica del loro futuro paese.

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