MONDO

Un Nobel contro George W.

LAI CAMILLA,SVEZIA/STOCCOLMA

Il premio Nobel per la pace del 2002 è stato assegnato ieri a Jimmy Carter, «per i suoi infaticabili sforzi di trovare soluzioni pacifiche ai conflitti internazionali, promuovere la democrazia, i diritti umani e lo sviluppo», recita la motivazione del comitato norvegese. Ma prosegue, con insolito tono politico: «Nella situazione contemporanea, caratterizzata dalla minaccia dell'uso della forza, Carter è rimasto fedele al principio che i conflitti debbano essere risolti attraverso la mediazione e la cooperazione, sulle basi del diritto internazionale, del rispetto per i diritti umani e dello sviluppo economico e sociale». Insomma, Jimmy Carter si è meritato il Nobel per la pace non tanto o non solo per le politiche messe in atto durante la sua presidenza o dopo, ma anche per aver definito, qualche settimana fa, l'azione militare Usa in Iraq un «tragico errore». Il comitato dei Nobel ha usato le premiazioni di quest'anno - che verranno consegnate nell'anniversario della morte di Alfred Nobel, il filantropo che inventò la dinamite, il 10 dicembre a Oslo - per sferrare un attacco agli Usa dimentichi, tra le altre cose, degli impegni che il mondo prese alla chiusura della seconda guerra mondiale, per evitare altri scempi. Non ne fa mistero il presidente del comitato norvegese, Gunnar Berge, che ieri ha spiegato come la scelta «dovrebbe essere interpretata come una critica alla linea seguita dall'amministrazione Bush». Di più: «è uno schiaffo a tutti coloro che seguono la stessa politica». E ha aggiunto di sperare vivamente che il premio potesse contribuire a scongiurare l'attacco contro l'Iraq. Sebbene altri due membri del comitato, Inger-Marie Ytterhorn, del partito del progresso (di destra) e Hanna Kvanmo, dei socialisti, si siano affrettate a ribadire che quella del signor Gunnar era una sua opinione personale, l'appiglio all'attualità nella decisione finale del comitato non lascia dubbi sulle motivazioni.

Carter, che aveva già sfiorato il premio nel 1978 per aver favorito gli accordi di Camp David, ha inizialmente emesso un laconico «no comment» alla strategia degli Stati uniti verso l'Iraq. Si è invece detto subito onorato di ricevere un premio che stimola a pensare alla pace e ai diritti umani. E ha affermato che avrebbe continuato a lottare «per la pace e i diritti umani e per l'eliminazione della sofferenza». «Questo premio - ha continuato - deve servire da ispirazione, non solo a noi ma a tutte le popolazioni che soffrono nel mondo, e io lo accetto a nome loro. Ovunque la gente ha lo stesso sogno: evitare la guerra e l'oppressione». Solo in tarda serata l'ex presidente ha ammesso che l'assegnazione del Nobel di quest'anno mandava un chiaro messaggio a Washington affinché evitasse l'azione unilaterale. Ha poi ricordato che, al senato, lui avrebbe votato contro la risoluzione passata due giorni fa al Congresso.

L'ex presidente americano, 78 anni, ha concorso con altri 156 candidati, un record, pare, per l'istituzione norvegese. Secondo le regole, i nomi dei candidati rimangono segreti per i 50 anni successivi alle loro nomine, a meno che, a renderle pubbliche, non siano i candidati stessi. Tra gli altri, quest'anno, c'erano anche l'ex sindaco di New York Rudolph Giuliani, le madri di Tienanmen e il leader afghano Hamid Karzai. Proprio quest'ultimo si è subito congratulato con Carter, riconoscendo all'ex presidente Usa di meritare il premio e promettendo, però, di «ritentarci l'anno prossimo». Ma, per quanto strano posaa sembrare, tra i papabili al premio di quest'anno c'erano anche Bush jr. e Blair, proposti dallo stesso partito del progresso norvegese che rifiuta l'ovvia connotazione politica della scelta di quest'anno. «Per la loro azione decisa contro il terrorismo, ..., la più grande minaccia alla pace», come dichiarò a febbraio scorso il parlamentare Harald Tom Nesvik.

Le cose, invece, sono andate diversamente e il milione di dollari del Nobel della pace sarà il regalo per i vent'anni del Centro Carter, che dal 1982 si batte per promuovere i diritti umani come risoluzioni delle crisi nel mondo.

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