MONDO

Domani di pace

STATI UNITI
SANGIOVANNI ORNELLA,USA/NEW YORK

Hanno perso fratelli, sorelle, figli, mariti, generi negli attentati dell'11 settembre ma non per questo chiedono vendetta. Anzi, partecipano alle mobilitazioni pacifiste di questi giorni. Sono i familiari di alcune delle vittime degli attentati alle Torri Gemelle e al Pentagono. Sono l'altra America: quella che non si vede sulla Cnn o sulle altre reti tv. Quella che si rifiuta di considerare la guerra una risposta al terrorismo. Un'America minoritaria, ma decisa a far sentire la propria voce. I membri di Peaceful Tomorrows («Domani - al plurale - di pace»), associazione il cui nome si ispira alle parole di Martin Luther King Jr. - «Le guerre sono scalpelli scadenti per costruire domani di pace» - hanno deciso di reagire al dolore, alla tragedia che li ha colpiti riconoscendo che non ha carattere di unicità. Il dolore li unisce a tutti coloro che hanno perso delle persone care a causa del terrorismo e della guerra, in qualunque parte del mondo si trovino: famiglie delle vittime di Hiroshima e Nagasaki, Israele e i territori palestinesi occupati, Afghanistan, Iran, Colombia, Irlanda e tanti altri paesi.

«Siamo arrivati a riconoscere la nostra parentela con altre vittime innocenti del terrorismo e della guerra, una parentela che va oltre i confini» si legge nella dichiarazione che hanno diffuso in occasione del primo anniversario dell'11 settembre. La lezione che l'America deve imparare dall'11 settembre - scrivono - è che «non esistono barricate abbastanza alte, né bombe abbastanza grandi, né intelligence abbastanza sofisticata da poter prolungare l'illusione dell'invulnerabilità americana». «Da quel giorno - prosegue la dichiarazione - ci è diventato chiaro che l'America deve partecipare pienamente alla comunità globale». E' una consapevolezza che hanno posto al centro del loro agire: trovare nuovi modi di rapportarsi col resto del mondo, andare al di là della ricerca di vendetta e conquistare l'ingiustizia creando un mondo più giusto. E' così che alcuni di loro sono stati due volte in Afghanistan per incontrare i familiari delle vittime dei bombardamenti americani. Oggi insieme si stanno battendo perché il governo americano crei un fondo a favore delle famiglie delle vittime afghane.

Centrale nella loro attività è il rifiuto della guerra. Rita Lasar, 70 anni, ha perso il fratello in una delle due torri del World Trade Center. Abe Zelmanowitz si trovava al 27esimo piano, dove aveva deciso di rimanere per non abbandonare un amico quadriplegico che non poteva scendere le scale. Rita, che è stata con altri in Afghanistan e di recente è tornata da un viaggio a Hiroshima, ha raccontato in diretta tv sulla Msnbc cosa ha provato ascoltando le parole del presidente Bush, che pure aveva lodato l'eroismo di suo fratello. «Quando il presidente Bush ha citato mio fratello ed è diventato chiaro che il suo nome sarebbe stato usato per uccidere degli innocenti, migliaia di innocenti, in un paese lontano, mi sono sentita male quasi come quando mio fratello è morto».

Oggi si oppongono a una guerra contro l'Iraq. «La progettata invasione dell'Iraq - una nazione che non ha legami dimostrati con gli eventi dell'11 settembre - nel nome della guerra al terrorismo significa che più americani militari e civili moriranno, con effetti imprevisti sulla nostra sicurezza, economia, capacità di affrontare le cause alla radice del terrorismo, e sul nostro rapporto con altre nazioni».

Hanno scelto di ricordare il primo anniversario dell'11 settembre con delle iniziative che incarnano questo spirito, che parte dal riconoscimento dell'universalità del dolore, per affermare il rifiuto della guerra e della violenza come soluzione. E con il tour «Non più vittime», innanzitutto, organizzato assieme all'American Friends Service Committee, organizzazione di Quaccheri americani, e i familiari di persone uccise a causa delle guerra o del terrorismo in Afghanistan, Iraq, Israele e territori occupati, Filippine e Giappone.

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