MONDO

Impediamo la guerra

ALBERTI FABIO, SANGIOVANNI ORNELLA,IRAQ/ITALIA

Nonostante le apparenze, la Terza guerra del Golfo non è scontata e ci sono ancora molte cose che si possono fare per evitarla. Bene farebbe il Governo italiano, invece di affrettarsi a comunicare, tramite il suo Ministro della Guerra, la voglia di partecipare, a prendere sul serio l'invito fatto da Baghdad ad Hans Blix, capo dell'Unmovic, e a partire da questo per operare per una soluzione diplomatica del conflitto. Questa «apertura» irachena non deve meravigliare. Da tempo l'Iraq ha dichiarato la sua disponibilità a far riprendere le ispezioni dell'Onu sul disarmo, chiedendo tuttavia che esse non vengano utilizzate per attività di intelligence finalizzate alla preparazione di un attacco militare, visti i precedenti e la volontà dichiarata degli Usa di attaccare. Nei tre incontri avuti quest'anno a tal riguardo con il Segretario Generale dell'Onu, il Ministro degli Esteri iracheno, Naji Sabri, aveva posto anche altre questioni: la legalità delle «no fly zone» e dei bombardamenti quasi quotidiani sull'Iraq, l'attuazione dell'art 14 della risoluzione 687 dell'Onu, che prevede le creazione di una «zona libera dalle armi di distruzione di massa» in Medio Oriente, e, ovviamente, la levata delle sanzioni. Si tratta di questioni ineludibili.

L' intransigenza del Consiglio di Sicurezza, che si è rifiutato di affrontare questi temi, ha sinora impedito di arrivare ad accordi che consentissero la ripresa delle ispezioni.Anche se è possibile che gli Usa non intendano tenerne conto, questa ripresa, e quindi l'avvio di un processo per la revoca dell'embargo, è l'elemento chiave.

Una azione diplomatica italiana, e, ancor più, europea, dovrebbe partire da qui per scongiurare una guerra che, oltre a nuovi immensi lutti per un popolo già colpito da due guerre e da dodici anni di sanzioni devastanti, potrebbe alimentare il terrorismo, aumentare l'instabilità dell'area, e che, non ultimo, sancirebbe il controllo militare degli Usa su fonti energetiche di vitale interesse anche per l'Europa.

La partita, dunque, non è chiusa. E non può esserlo, perché sono in ballo migliaia, decine, o centinaia di migliaia di vite umane, e nulla quindi deve essere lasciato intentato.

Nonostante Martino, l'Italia, l'Italia della gente, della società civile, delle istituzioni locali e, pensiamo, anche nazionali, non vuole questa guerra. Occorre che si sappia, forte e subito.

I partiti, ma anche i sindacati, i consigli comunali, le associazioni, grandi e piccole, devono farsi sentire con prese di posizione chiare. E non solo per dire no alla partecipazione italiana, ma per chiedere, anzi, che l'Italia sia un elemento attivo per scongiurarla. Occorre anche che i giornali non facciano da amplificatore alla propaganda bellica, già da tempo iniziata, e per questo è necessario che i loro lettori si facciano sentire.Se questo non bastasse a ottenere dal Governo il rispetto della volontà del paese, allora dovremo scendere in piazza e manifestare, in tanti, in difesa della Costituzione. Dovremo ricorrere alla disobbedienza civile, sdraiarci per terra per non far partire i soldati.

Ma intanto bisogna chiarire subito che l'Italia non ci sta. Anche per questo noi andremo a Baghdad, per testimoniare che non accettiamo che neanche la vita di una sola persona venga barattata con i barili di petrolio che ci si accinge a conquistare. Andremo dai bambini che abbiamo potuto salvare dall'embargo grazie al sostegno di tante persone. Per dare una possibilità in più alla pace.

* Un ponte per

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