MONDO

Mini-esodo palestinese in Giordania

LAI CAMILLA,PONTE DI RE HUSSEIN (GIORDANIA)

Solo la bandiera di Israele sventola sul fiume Giordano, ormai seccato dal sole. Buffo, perché qui il fiume segna il confine tra Giordania e Cisgiordania, e quella bandiera sembra ergersi a rivendicare un territorio che proprio non le appartiene. In Cisgiordania è da molto prima dell'ultimo discorso di Bush che i controlli di dogana vengono effettuati dalle autorità israeliane, subito disponibili a concedere visti di (sola) uscita ai palestinesi. Dal lato giordano, gli ufficiali di frontiera assicurano che non c'è stato un aumento del flusso di palestinesi nelle ultime settimane. Ma o la portata del nuovo esodo viene minimizzata o c'è da chiedersi quanti palestinesi uscissero prima dell'ultima offensiva israeliana, perché in appena un'ora sul ponte, vediamo arrivare almeno 10 autobus, tutti carichi. Facendo una media di 45 persone per vettura, contiamo circa 500 persone. All'ora. I bambini sorridono e ci salutano dai finestrini, gli adulti sono stremati. Non solo dal viaggio, da tutto il resto, non ultima la preoccupazione, di chi fugge e delle autorità palestinesi, di non lasciare il campo libero alle forze d'occupazione israeliane. La sala delle partenze è vuota. Agli arrivi, famiglie intere, ma senza capifamiglia, madri con 3, 4 figli. Missionari. Pacifisti. Arrivando da Amman, dall'altura prima del ponte, si vede Gerico. Poco distante, dietro una colonna di fumo nero, 2 insediamenti israeliani, insieme grandi quanto la cittadina palestinese, e se congiunti nei non remoti progetti di espansione delle colonie ebraiche, ben di più. Il nuovo ponte di re Hussein non è mai stato inaugurato. Finito di costruire nel marzo 2001, è sempre stato chiuso. A tratti, direzioni, a seconda di chi lo voglia percorrere e perché (gli israeliani cambiano le targhe delle macchine in targhe giordane sotto apposite tapparelle per ripararsi dal sole), di dove si debba andare dopo (sia il visto di entrata delle autorità israeliane sia quello di uscita verso la Cisgiordania rendono impossibile rientrare in altri paesi arabi). Insomma, chiuso ancora prima di essere costruito. Non distante, c'è il vecchio e più noto ponte di legno di Allenby. Niente a che vedere con il traffico che possono sostenere le 4 corsie asfaltate costruite grazie ai fondi per lo sviluppo del governo giapponese. Domenica Qaftan Majali, il ministro degli interni giordano, ha detto che «il governo ha preso le misure necessarie per facilitare l'entrata di viaggiatori attraverso il ponte», specificando che il regno ha a cuore gli interessi dei reciproci paesi. Gli fa eco Omar Khatib, ambasciatore palestinese in Giordania: «C'è coordinazione tra le autorità palestinesi e giordane, per negare ad Ariel Sharon l'opportunità di svuotare i Territori». Il personale di frontiera sostiene addirittura che negli ultimi mesi il numero di palestinesi diretti verso la Cisgiordania superasse quello dei palestinesi in uscita. Ma qualche giorno fa la Giordania ha annunciato che sarebbero state prese «opportune misure di precauzione» per fronteggiare l'eventuale esodo. L'Unrwa, l'unica agenzia Onu che si occupa di rifugiati palestinesi, ammette che nulla può fare per i nuovi arrivati. Matar Saqer spiega che ci sono «quasi 4 milioni di rifugiati palestinesi registrati in Libano, Giordania, Siria e Territori occupati. Solo in Giordania, arriviamo a quasi 2 milioni», senza contare che quasi il 70% della popolazione giordana è di origine palestinese. Chi arriva ora si ricongiunge ai parenti arrivati negli ultimi 50 anni. «Non hanno diritto allo status di rifugiati» continua Matar. E nemmeno all'assistenza. Così, l'ennesima tappa dell'esodo palestinese si consuma in silenzio. Sul ponte, evidentemente, vediamo fantasmi, smentiti dalle fonti ufficiali. Persino Marwan Abdel Hamid, capo della delegazione palestinese alla 68sima riunione del coordinamento degli affari palestinesi in Egitto, Siria, Libano, Giordania e Territori, in corso in questi giorni al Cairo, non li menziona, pur denunciando i 1710 palestinesi uccisi e 45mila feriti dal 28 settembre del 2000, inizio dell'Intifada di al Aqsa, la disoccupazione al 65% e la povertà che colpisce il 75% della popolazione. Neanche lui sa quanti palestinesi lottano ogni giorno per attraversare il ponte di re Hussein in cerca di salvezza.

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