In mezzo alla querula confusione della Fiera del libro di Torino è stato trovato uno spazio anche per «Il tempo della guerra», come recita il titolo di un incontro che ha visto protagonisti - giovedì scorso - Mimmo Càndito, Andrea Nicastro, Ennio Remondino e Stefano Tura. Giornalisti dai volti familiari, riuniti per raccontare le loro esperienze: il lavoro di reporter in situazioni-limite e le influenze che esso esercita sull'opinione pubblica soprattutto rispetto a temi drammatici come quello della guerra. Mimmo Càndito, autore del libro Reporter di guerra (Baldini & Castoldi), ha parlato - a questo proposito - delle trasformazioni subite dal mondo del giornalismo: modificazioni che lasciano pensare al possibile venire meno, in un futuro assai prossimo, della stessa figura del reporter, del testimone diretto. Nel corso del dibattito, gli interventi sono tornati più volte sull'idea di informazione: strumento operativo della guerra e, allo stesso tempo, sua prima vittima. Durissimo, su questo, Ennio Remondino: per giustificarsi agli occhi dell'opinione pubblica, gli stati-nazione ispirano le loro azioni militari a una forma «nobile» di Idealpolitik. Remondino, nel suo La televisione va alla guerra (Sperling e Kupfer), ha indagato in particolare il ruolo che ricopre l'immagine televisiva nella nostra percezione di una guerra che ormai è divenuta evento mediatico. D'altra parte, «le guerre non si fanno più soltanto per vincere, ma soprattutto per convincere», condizionare, manipolare l'opinione pubblica. Numerose le considerazioni dell'inviato del Tg3 sul potere di inganno e sulla faziosità di cui sono dotate, insieme alle fonti ufficiali, anche le immagini.
Giova ripeterlo: i fatti si prestano sempre a controverse interpretazioni, le testimonianze oculari non sono sufficienti e la falsificazione dei documenti - o degli «scenari» - è solo un'arma in più nelle mani degli eserciti. Per non parlare delle cosiddette «politiche redazionali» che stabiliscono criteri di gerarchie tra le notizie spesso arbitrari. I dubbi che il giornalista nutre sul ruolo del reporter, sulla pretesa di farsi voce critica e sguardo vigile in merito ai patti di scambio tra sicurezza e democrazia, ci sono tutti. Anche Stefano Tura, il più giovane dei quattro, già inviato della Rai in Afghanistan lo scorso inverno - esperienza dalla quale è nato il libro Le caramelle di super Osama - Diario di guerra di un inviato (Fazi) - ha fornito un dettagliato resoconto di guerra giocato tra rimandi a particolari di diversa entità, talvolta banali e tuttavia sempre rivelatori. Il suo desiderio di testimoniare il punto di vista del popolo afghano era trasparente, una sorta di compensazione verso le «dimenticanze» dei media: attenti alle violenze degli uni, ciechi rispetto agli altri. Tra gli invitati, solo Ettore Mo ha mancato l'appuntamento, e tuttavia dei tanti conflitti internazionali di cui ha fatto esperienza diretta ci ha lasciato ampie testimonianze in Sporche Guerre. Dall'Afghanistan ai Balcani (Rizzoli), un volume che raccoglie alcuni dei suoi migliori reportage, dall'ex Jugoslavia al Sudan al Kazakistan. Luoghi difficili nei quali Mo si è recato con il suo fotografo Luigi Baldelli per descrivere le conseguenze di 50 anni di esperimenti atomici sovietici.