«La nuova nakba (grande catastrofe in arabo ndr) - dice Abdullah Abu Aita, seduto davanti ai resti del suo negozio - è successa a Jenin». A Jenin la commemorazione del cinquantaquattresimo anniversario della cacciata di un milione di palestinesi per la nascita dello stato di Israele, è iniziata all'una di pomeriggio di ieri. Ma la catastrofe non è stata ricordata solo nei Territori occupati, in Cisgiordania, a Gaza e a Gerusalemme, bensì in tutto il mondo arabo. Numerose forze di sicurezza bloccavano le vie d'accesso a tutta la zona centrale del Cairo fin dalle prime ore del mattino. Nonostante le manifestazioni siano vietate nella capitale egiziana e confinate nelle moschee o in sedi accademiche, 2.000 persone sono riuscite a radunarsi davanti al Mugamma, sede di quasi tutti gli uffici del governativi, nella centrale piazza Tahrir, completamente barricata. Contrariamente alle manifestazioni in sostegno della Palestina degli ultimi tempi, quella di ieri è stata una protesta calma: pochi slogan, qualche canto, non troppe bandiere, solo tanta amarezza. Come spesso accade nelle manifestazioni di piazza egiziane, la solidarietà alla tragedia palestinese diventa pretesto per urlare il proprio dissenso al regime di Hosni Mubarak. «Non ti dimenticheremo mai, Palestina», cantavano invece i bambini palestinesi nati nei 12 campi profughi in Libano, figli di una terra che forse non hanno mai visto. La maggioranza dei manifestanti erano anziani, che sfilavano con in mano le chiavi arrugginite delle case che furono costretti ad abbandonare il giorno in cui la Gran Bretagna terminò il suo mandato e David Ben Gurion proclamò l'indipendenza di Israele (14 maggio 1948). Hanno sfilato quasi tutti i 70mila residenti del più grande campo profughi in Libano, Ein el-Helweh, alla periferia di Sidone, ricordando la risoluzione 194 dell'Onu che sancisce il «diritto al ritorno» dei circa 4 milioni di rifugiati palestinesi sparsi per il mondo.