CULTURA

Versi proiettati sullo schermo dell'ironia

FIERA DEL LIBRO
BONIFAZIO MASSIMOITALIA/TORINO

Nel fittissimo programma della Fiera del Libro di Torino, i pomeriggi di venerdì, sabato e domenica si terrà un «Laboratorio di Poesia», a proposito del quale abbiamo chiacchierato con Vivian Lamarque, autrice, fra l'altro, del Signore d'oro (Crocetti `86) e Una quieta polvere (Mondadori `96). Poetessa tra le nostre più interessanti e ironiche, immune da ogni forma di banalità, Lamarque è invitata a pertecipare, come già altri anni, a tutti gli incontri sulla poesia.

Può raccontarci com'è nata questa idea?

L'ideatore è stato Ermanno Krumm, che ha condotto laboratori del genere anche in altre situazioni; poi Ernesto Ferrero lo ha voluto per la Fiera. Chi scrive poesie (in Italia c'è forse qualcuno che non ne scrive?) ha il problema che poi nessuno vuole saperne di leggergliele. Nemmeno i familiari, a meno che nei versi non si parli di loro, figuriamoci, chi scrive parla solo di sé o di amanti. Tantomeno le leggono le case editrici perché ne sono sommerse (ho visto da Crocetti un tavolo lungo cinque sei metri, tutto ricoperto da strati e strati di buste in attesa di turno d'apertura). Anche gli editori a pagamento, che ti pubblicano subito, non è poi detto che ti leggano (mi lasci un po' scherzare). Detto questo, risulta chiaro quanto il servizio che a Torino da tre anni offre la Fiera del Libro sia gradito.

Come funziona questo laboratorio?

Chiunque può portare i suoi versi e poiché vengono proiettati su uno schermo, e poiché il pubblico seduto e in piedi è numeroso, per forza avranno finalmente dei lettori. In più cinque poeti abbastanza diversi tra loro, da me stassa a Maurizio Cucchi a Ermanno Krumm a Tiziano Rossi a Valentino Zeichen risponderanno alle domande e aiuteranno a capire quali sono i punti deboli o di forza delle loro poesie. Cucchi è forse il più severo, ma anche il più preciso (da anni offre questo stesso servizio nella sua rubrica su Specchio), Krumm è maestro di savoir faire et dire, Tiziano Rossi ha dato l'anno scorso il consiglio più utile («la poesia non si fa con le parole poetiche»), Zeichen quando parla ti incanta le orecchie, beato lui; quanto a me, cerco alquanto maternalmente di dare consigli pratici, per esempio metto in guardia dall'uso di parole pericolose tipo gabbiano. Se non capisco chiedo cosa vuol dire, invito a dare, almeno nel titolo, un lume a chi legge. Chi partecipa è comunque coraggioso: scoprire, davanti a cento persone, che la poesia che credevamo meravigliosa non lo è, non deve essere tanto piacevole. Ma ne arrivano anche di buone, e quest'anno per la prima volta verrà offerta l'opportunità di pubblicare le migliori su una rivista.

Qual è il genere di poesia che lei preferisce?

Mi piacciono le poesie che ronzano intorno alla morte, maestra insuperata in descrizioni dell'ultima scena resta Emily Dickinson, «richiamata» a 56 anni, anch'io ne ho 56, ma solo per il momento, spero! Tra i viventi leggo molto le due Patrizie: la Cavalli e la Valduga, una corteggia la vita e l'altra la morte, entrambe non mi sembrano corrisposte.

Patrizia Valduga, Emily Dickinson: sono autrici di versi molto lontani dai suoi, svagati, solari...

Dal sottosuolo della Valduga c'è chi fugge, io prendo la pila per vedere meglio, sebbene poi nel quotidiano io stia totalmente dalla parte della vita, sono una spalancatrice di finestre e per hobby risuscitatrice di rametti svenuti che trovo per strada: sembrano spacciati, sono caduti dai balconi (suicidi?), o sono stati investiti dalle auto, o li hanno buttati via per morte apparente. Ho un ospedaletto in cucina dove fanno buona convalescenza. L'anno scorso a Torino il laboratorio stava per iniziare, Krumm mi cercava, mi ha trovato nella sala stampa che cercavo di innaffiare ripetutamente con il bicchierino del caffè un Ficus che credevo Benjamin, moribondo, poi sotto una foglia lui ha trovato la targhetta con il suo nome vero, si chiamava, non ci crederete mai, Ficus Vivian! Non è una bugia, anche se pare che i poeti dovrebbero mentire: fa più letteratura.

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