Figli che non vedranno mai più i genitori, mariti separati dalle mogli, famiglie distrutte. Negli ultimi 10 giorni è successo a 3.727 cinesi di età compresa dai 6 ai 70 anni, la maggior parte figli di almeno un genitore con permesso di residenza a Hong Kong. Nati in Cina, negli anni si sono ricongiunti alle famiglie che nel frattempo avevano trovato lavoro nell'ex colonia britannica. Ma la proroga che il Dipartimento dell'Immigrazione di Hong Kong aveva loro concesso è scaduta la mezzanotte del 31 marzo. Chi ha accettato di essere rimpatriato ha ottenuto da Hong Kong un lascia passare, che vieta alle autorità di Pechino di multarlo o incarcerarlo, anche se arriva in madre patria con permessi di soggiorno o visti turistici scaduti. Ma non tutti si rassegnano. Michael Wong, vice segretario per la sicurezza di Hong Kong, sostiene che ci sono ancora circa 8 mila persone da rimpatriare, contro le quali è scattato il mandato di arresto. Dall'inizio del mese a Hong Kong i migranti manifestano sotto le finestre dell'ufficio Immigrazione con veglie, scioperi della fame e petizioni a Kofi Annan. Nell'agosto del 2000 una persona che rischiava l'espulsione si è suicidata, un ufficiale dell'immigrazione è stato ucciso, dozzine i feriti. Ora molti migranti preferiscono nascondersi e vivere illegalmente pur di restare con le loro famiglie. «Se i miei figli non sono con me, non varrà la pena vivere», dice il signor Cheng, padre di tre bambini, che si vede costretto a lasciar partire la figlia Fung Yi, di 10 anni, e il fratello di 5. Il governo cinese favorisce la cosiddetta «politica del figlio unico», quindi solo il primo, nel caso dei Cheng, può' restare. Lo stesso principio è stato applicato ai Lin: delle loro due gemelle, che nel 1996 avevano 12 anni, solo una poteva raggiungere i genitori. Non sapevano chi scegliere e le bambine fecero pari o dispari. «Fui felice di vincere, ma mi sentivo in colpa», racconta Yuk-oi, che vive a Hong Kong con i genitori. Yeung-ming, la sorella, prova da allora a ricongiungersi in maniera definitiva al suo nucleo familiare.
Tornati in Cina i migranti, per rientrare a Hong Kong, dovranno sottomettersi a una nuova procedura - e interminabili file - per ottenere il visto, temporaneo, competendo con quasi 60 mila persone l'anno. La maggior parte di loro non ha più parenti, come Yeung-ming, perde pertanto diritto all'istruzione scolastica primaria. Il 29 gennaio del 1999, il tribunale di Hong Kong - in base alla legge sull'immigrazione e al sistema che governa la provincia, a statuto speciale, sul principio «uno stato, due sistemi» - affermò che ogni figlio di residenti di Hong Kong aveva diritto di cittadinanza. Poi gli ufficiali dell'immigrazione si accorsero che si trattava di quasi due milioni di persone. E chiesero a Pechino di rivedere la legge. Così, ora, solo chi è nato dopo che il genitore ha ottenuto la cittadinanza di Hong Kong può rimanere. Il primo «illegale» è stato rimpatriato lunedì scorso, attirato con la scusa di poter ottenere una proroga perché 3 settimane fa aveva avuto una bambina. Invece è stato caricato su un camion e di lì a poco la linea del cellulare con cui salutava la moglie è caduta. Il governo è stato citato per danni, «per anni di tortura mentale», dice Kao. «I bambini diventano schizofrenici - sostiene Robert Brook, l'avvocato che ha difeso anche in Cassazione molti migranti - minacciano il suicidio».