MONDO

«Basta sanzioni e guerra all'Iraq»

INTERVISTA A VON SPONECK
SANGIOVANNI ORNELLAROMA

Da quando, nel febbraio 2000, si è dimesso dal suo incarico, per protesta contro la catastrofe umanitaria provocata dalle sanzioni economiche contro l'Iraq, è diventato l' «ambasciatore itinerante» del popolo iracheno, sempre in viaggio da un paese all'altro per spiegare, testimoniare, guadagnare consensi alla causa della levata incondizionata dell'embargo. Hans von Sponeck, 62 anni, tedesco, già Coordinatore Umanitario dell'Onu in Iraq, è oggi a Roma in occasione dell'uscita in contemporanea mondiale - sul quotidiano International Herald Tribune - di un appello internazionale di cui è stato il promotore, che chiede la levata immediata delle sanzioni economiche. Firmato da oltre trecento personalità, gruppi, associazioni da 38 paesi e 5 continenti, che chiede la fine immediata di quella che viene definita la «spietata continuazione di una politica fallimentare», un «crimine contro i bimbi iracheni e contro milioni di famiglie irachene», una «violazione dei diritti umani internazionalmente riconosciuti». Premi Nobel per la pace come l'arcivescovo sudafricano Desmond Tutu, ex-capi di Stato e di governo, ministri degli esteri, intellettuali come Noam Chomsky e Edward Said, parlamentari, leader religiosi - due rabbini americani - scienziati, artisti, studenti, ed esponenti pacifisti. Perché questo appello adesso e su un giornale così importante, e qual è il suo messaggio?

L'appello è solo un simbolo: un modo per esprimere la crescente preoccupazione internazionale per una politica sbagliata. Riflette il fatto che in tutto il mondo ci sono persone che dicono: «Adesso basta». La coscienza globale si aspetta che i nostri leader politici inizino a ripensare la loro politica sulle sanzioni. E' solo uno dei molti modi possibili per sensibilizzare i governi e l'opinione pubblica mondiale sulle condizioni di vita in Iraq. Dimostra che le persone comunicano tra di loro e insieme - sottolineo, insieme - esprimono la loro preoccupazione. Persone di paesi diversi, di diverse professioni, donne e uomini, giovani e vecchi, le cui ideologie vanno dalla destra alla sinistra. E' stato scelto questo mezzo perché abbiamo ritenuto che offrisse un modo di raggiungere in particolare l'opinione pubblica delle democrazie occidentali, che ha l'opportunità di influenzare la politica.

Di recente è ripreso il dialogo fra l'Iraq e le Nazioni Unite. Quale ruolo lei vede oggi per l'Onu, e in particolare per il suo Segretario Generale, Kofi Annan in questo momento in cui si parla con sempre maggiore insistenza di un attacco contro l'Iraq?

Vorrei dire innanzitutto che la disponibilità irachena al dialogo non ha niente a che vedere con l'11 settembre. Il principio del dialogo è stato ripetutamente ribadito dal vice primo ministro iracheno Tariq Aziz fin dal primo incontro fra il Segretario dell'Onu e il governo iracheno, nel febbraio 2001, dopo la lunga interruzione seguita ai bombardamenti del dicembre 1998.

Il Segretario Generale ha un ruolo naturale da giocare nella risoluzione dei conflitti. Oggi esiste l' opportunità per discutere non solo - come chiedono gli Americani - il ritorno degli ispettori, ma tutti i problemi di interesse internazionale in sospeso, compresi i dispersi kuwaitiani, le proprietà del Kuwait, la situazione dei diritti umani in Iraq e lo stato del disarmo.Le Nazioni Unite sono una istituzione di pace, non di guerra, e il Consiglio di Sicurezza, con l'aiuto del Segretario Generale, deve giocare il ruolo di peacemaker. Bisogna incoraggiare il Segretario Generale a svolgere il suo ruolo di mediatore per impedire ciò che nessuna persona onesta amante della pace vuole: la guerra.

E per quanto riguarda la questione del controllo sulle cosiddette armi di distruzione di massa?

Voglio sperare che il governo iracheno consentirà il rientro degli ispettori, in cambio non della sospensione ma della levata delle sanzioni economiche. La bozza di risoluzione presentata dalla Russia al Consiglio di Sicurezza nel giugno 2001 offre un valido compromesso a questo riguardo.

Quale può essere il ruolo della comunità internazionale? E cosa direbbe in particolare al governo italiano?

Vorrei dire che non è più sostenibile né legalmente né moralmente per il governo Berlusconi rimanere in silenzio e non affrontare il problema. Il suo governo, come gli altri governi europei, è firmatario di convenzioni internazionali che vengono attualmente violate dalle sanzioni. Un comportamento sbagliato del governo iracheno non può essere una scusa perché i governi europei facciano altrettanto.

Se l'Italia è davvero amica degli Stati Uniti, deve convincere il governo Bush che una soluzione pacifica del conflitto con l'Iraq è una alternativa di gran lunga migliore di un confronto militare.



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