Sullo sfondo scorre l'India, da Nuova Delhi al Kerala, nel profondo sud del paese. Davanti agli occhi La dea delle piccole cose, Arundhati Roy, minuta, elegante con gli occhi vispi. I due cineasti Paolo Brunatto e Angelo Fontana sono andati a intervistarla tra dicembre e gennaio di quest'anno per cogliere la scintilla che ha ispirato il suo romanzo più famoso, appunto Il Dio delle piccole cose, perché il suo dio è un'entità glocal radicato nei luoghi. «È un dio delle cose minime, abbandonate» spiega la scrittrice. Raiuno questa notte, a 0.30, manderà in onda questo film-documentario prodotto da Rai educational, proprio adesso che Arundhati Roy è stata condannata dalla corte suprema indiana a pagare una cauzione e simbolicamente a scontare un giorno di carcere. Nel video la vediamo mentre lotta insieme ai contadini sradicati dalle loro terre, e quando le forze dell'ordine la ammanettano solo perché grida slogan contro la costruzione del sistema di dighe nella valle del Narmada. Così in questo ritratto emerge il senso della coraggiosa denuncia di una catastrofe ambientale e umana in continua espansione. Un disastro che porta la firma dello stato, gigantesca macchina produttrice di povertà. Il fiume Narmada nasce sull'altipiano di Amarkantak, scorre per 1300 chilometri, e poi arriva a valle dove regola la vita delle comunità che ci vivono: 25 milioni di persone legate all'ecosistema di un corso d'acqua e che finiscono nella disperazione alla periferia delle grandi città, villaggi minacciati costantemente dal miraggio dello sviluppo idrico, che in realtà così com'è concepito semina esclusivamente distruzione. In occidente il sistema delle grandi dighe ha fallito la sua missione e ora si tenta di esportarlo dall'altra parte del mondo con il nome di «Aiuti per lo sviluppo» complici i finanziamenti della Banca mondiale. Così se da una parte il movimento dei capitali favorisce la Banca, dall'altra l'India in ginocchio si trova a dover pagare debiti ingenti.
Nel filmato Arundhati Roy non ha paura di denunciarlo, così come non teme di prendere posizioni sul post 11 settembre, sulla situazione dei musulmani nel suo paese che da quella data è drasticamente peggiorata, e grida la sua indignazione difronte alla guerra.