CULTURA

Libri vissuti per stare al mondo

BONO PAOLAITALIA

E'intessuto di narrazioni e di immagini, come il sottotitolo promette, l'affascinante esplorazione in cui ci conduce Tiziana Plebani ne Il «genere» dei libri. Storie e rappresentazioni della lettura al femminile e al maschile tra Medioevo e età moderna (FrancoAngeli, pp. 227); una esplorazione, dice l'autrice, in cui «l'attenzione ai corpi, alle materialità, alle pratiche quotidiane» segna la rotta principale, offrendo le coordinate per individuare le soggettività multiple e diverse che abitavano in quel periodo le dimensioni della lettura e della scrittura, e così ridisegnarne la mappa. Rispetto a un mondo che per molto tempo negli studi sulla storia del libro è apparso popolato solo da uomini, privilegiare «l'individuazione delle pratiche che si incarnano in gesti, spazi e abitudini e che pongono al centro la corporeità dell'atto» significa mettere in luce non tanto assenze quanto alterità, individuare diversi modi di rapportarsi ai testi e usi diversi delle possibilità di comunicazione e circolazione del sapere; significa non solo dare visibilità a figure di donne, ma tracciare un quadro di relazioni, infrangere l'opacità uniforme di uno scenario asessuato.

Le forme della convivenza e del conflitto tra oralità e scrittura, nel periodo che va dal tardo medioevo ai primi secoli dell'età moderna, sono infatti segnate dalla sessuazione così come dalle appartenenze di censo e di status sociale; la modalità orale che soprattutto caratterizza il mondo femminile è condivisa da tutti gli esclusi dai percorsi scolastici ufficiali di alfabetizzazione, e costituisce un ricco universo di produzione e scambi culturali - gli spazi della casa e della piazza, le voci delle madri e dei giullari, i luoghi del sacro e del profano, le parole delle mistiche, degli ambulanti, dei condottieri.

Nell'attenzione all'oralità, Plebani sottolinea l'importanza del suo rapporto con la lettura, mettendo in questione la coincidenza tra fruizione dei testi e capacità di scrittura, e dando risalto alle forme collettive di ricezione basate su pratiche di trasmissione orale che, pur nel legame vario e discontinuo con redazioni scritte, spesso non comportavano la presenza materiale del libro; situazioni ben diverse da quella del lettore singolo nella solitudine dello studiolo - comunicazione in absentia attraverso un linguaggio decontestualizzato - e soprattutto significative per ritrovare un pubblico femminile, solo raramente caratterizzato dal possesso e dal consumo individuale e piuttosto legato a una socialità d'uso, a uno stile comunicativo e di produzione e circolazione di testi che vive di relazioni e ad esse dà vita.

Oralità/scrittura, voce-corpo/libro, sono paradigmi non solo oppositivi di una storia complessa e ancora in corso; ne è stato momento importante ma certo non risolutivo la valorizzazione della comunicazione scritta attraverso il discorso normativo sulla lingua, che li declinava nei binomi lingua volgare/latino e lingua parlata/codificazione letteraria. Le donne erano associate al primo termine di entrambe le coppie, insieme a tutti i 'rustici' che mancando di una formazione scolastica classica, sebbene non necessariamente di un qualche grado di istruzione, non conoscevano il latino. E non a caso la lingua `volgare' viene chiamata anche lingua materna, giacché sono le donne che impartiscono la prima istruzione linguistica.

In effetti nel processo di crescita di autonomia del volgare, nel suo proporsi e affermarsi anche come lingua letteraria, le donne hanno un ruolo significativo, a volte come committenti (ad esempio le donne dell'aristocrazia anglo-normanna e francese), assai spesso come destinatarie; e, argomenta convincentemente Plebani, un pubblico femminile riconoscibile e ben delineato nasce proprio in stretto rapporto con lo sviluppo delle lingue nazionali definite appunto lingua madre.

Una significativa traccia lessicale di questo ruolo è il termine usato nell'Inghilterra del 1300 per i manuali per l'apprendimento del francese, che si chiamavano feminae perché come la donna insegna al bimbo a parlare la lingua materna così quei libri insegnavano ai giovani quella lingua straniera. Si tratta di un accostamento già presente nella tarda latinità, come documenta la bella storia di Gregorio di Tours; mentre egli esita a scrivere, ritenendo inadeguata la propria istruzione letteraria e troppo rozzo lo stile, la madre gli appare in sogno e lo autorizza a scrivere nella lingua che lei gli ha insegnato, una lingua comunicativa che la gente capisce e che per questo ha valore.

La centralità della madre nella trasmissione linguistica e in generale nelle fasi primarie dell'apprendimento è evidente nelle rappresentazioni di Anna che insegna alla figlia a leggere - una delle immagini che, affiancandosi alla scena dell'Annunciazione in cui la Vergine appare immersa nella lettura, arricchiscono l'iconografia mariana nella crescita del culto della Madonna dal 1200. In molte, rinvenute con intelligenza da Plebani, figura il libro - Maria incinta intenta a leggere, o sorpresa in tale occupazione da Giuseppe e Gesù di ritorno dal tempio, o che approfitta del sonno di padre e figlio per leggere in una sosta durante la fuga in Egitto; tutta l'ampia tipologia di raffigurazioni definita dagli storici dell'arte «Madonna del libro», tra cui scene in cui insegna a leggere al piccolo, uno dei soggetti ritenuti non ortodossi e di cui si invocava l'abolizione; e la bella e curiosa Natività in cui Maria legge a letto mentre Giuseppe accudisce il bambino.

L'indagine della corporeità nelle pratiche di lettura attraverso rappresentazione iconografica condotta da Plebani evidenzia libertà e costrizioni di questa pratica e mette in luce visioni contrastanti, che allo lettura per studio ne oppongono una non produttiva, di piacere della narrazione, portando a tema il legame tra sessi e generi letterari. «Uomini e donne confrontati nel piano della raffigurazione sembrano distanziarsi ben più nettamente che nella realtà per finalità, ragioni, posture e generi di lettura: i primi irrigiditi nell'espressione dello studio e dell'impegno. Le seconde risolte nell'abbandono all'evasione e al diletto» - uno scenario a tinte forti intorno e dietro al quale si intrecciano molte storie dai toni più sfumati.

Sono le storie che intessono tutto lo studio di Plebani, storie di «lettori produttivi, lettrici per diletto, fanciulli in studio, donne intellettuali, padri amorevoli e figlie istruite, cortigiane `honeste', stampatori e stampatrici, cartaie e straccivendole, botteghe di legatori, committenti e bibliofile, scriventi per forza o per amore»; storie che si dipanano attraverso molti secoli svelando ideologie e stereotipi e arricchendo di corpi e relazioni e piaceri un mondo - quello del libro, della sua produzione, circolazione, fruizione - che non solo di intelletto è vissuto e vive.



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