La Rete delle libertà

ANDREA MONTI*

INFORMATICA E DIRITTO
La Rete delle libertà
ANDREA MONTI*


L' Italian Cyberspace Law Conference svoltasi a Bologna dal 29 novembre al 1 dicembre, è stata l'occasione per affrontare non solo argomenti strettamente tecnici legati al diritto delle tecnologie, ma anche per dibattere temi di natura più generale, ma non per questo meno importanti, come la progressiva erosione degli spazi di libertà individuale. Le cui sorti vengono sempre più decise al di fuori dei "luoghi" della politica e del diritto. Questo processo - in altri ambiti meno palese - diventa estremamente evidente quando ci si occupa di Internet e delle problematiche giuridiche e politiche suscitate dalla diffusione di Internet. Un misto di ignoranza, luoghi comuni e spudorati interessi di parte ha indotto nelle persone una falsa consapevolezza di cosa sia la rete e del cosa ci si possa fare.
Internet nasce circa trent'anni fa (insieme a tutte quelle tecnologie che oggi vengono definite "nuove") con un certo spirito e in mondo - la comunità scientifica - segnato dalla libera circolazione delle idee, tolleranza e mutua collaborazione. Nel corso degli anni queste caratteristiche si sono prepotentemente sviluppate fino a diventare la vera e propria essenza della rete.
Contrariamente a quanto si è cercato di farci credere, la rete non ha sconvolto il mondo, ma continua ad evolversi secondo ritmi e tempi umani e personali. Che non dipendono da quelli imposti da tecnologie inutili né da quelli di una "commercializzazione" tesa, invano, a trasformarla nell'ennesimo sottoprodotto speculativo.
Una volta superata questa visione distorta di Internet - non perché sia "male" pensare ad un suo uso economico, ma perché lo si sta facendo nel modo sbagliato - si scopre che la rete è ancora lì, con tutto il suo patrimonio di libertà e di idee a disposizione di chi può accedervi o di chi può permettersi di farlo. Già, perché si tende ad ignorare che in molte parti del mondo la rete non c'è o non ne è permesso l'utilizzo.
La precisa strategia commerciale che cerca artificiosamente di "tenere altissimi" i costi delle tecnologie per l'accesso alla rete ("banda larga", "video on demand", ma anche software e sistemi operativi costosi, malfunzionanti e insicuri) non solo fa spendere somme iperboliche ai paesi ricchi ma aumenta il divario con quelli poveri che non hanno alcuna possibilità di sostenere simili spese.
La repressione politica e la censura - diffuse anche nel "civilissimo" occidente - impediscono alle persone di manifestare liberamente le proprie idee privandole della possibilità di accedere alla rete. O consentendone un impiego sotto strettissimo controllo.
In Italia la rete "c'è". Ma nello stesso tempo è costantemente nel mirino dei "poteri forti" che la temono e non perdono occasione per cercare di ridurla ad uno strumento di controllo e di omologazione sfruttando volgari strumentalizzazioni di "parrocchia" o di "bottega" (la cosiddetta "pedofilia" o le perverse estremizzazioni in difesa del "diritto d'autore").
Nel momento in cui l'informazione in Italia vive una era paurosamente buia e l'accesso ai mezzi di comunicazione è quanto mai condizionato dall'attuale assetto politico, viene da chiedersi perché nessuno ha detto o fatto nulla per proteggere le libertà civili anche in rete.
Nel momento in cui il movimento del software libero (quello che, per intenderci, fa funzionare Internet) fiorisce in tante parti dell'Europa e del mondo rappresentando una alternativa tecnica e politica al monopolio forzoso dove siamo stati costretti a sopravvivere, nessuno, in Italia, fa o dice nulla per liberarci dalla schiavitù elettronica nella quale stiamo ciecamente precipitando. Anzi, viene accentuata la dipendenza delle infrastrutture di comunicazione da tecnologie pericolose e fuori controllo (come dimostrano le recenti "invasioni" di virus informatici, rese possibili dalla diffusione indiscriminata di programmi mal progettati).
Anche la sinistra - soprattutto la sinistra - non ha capito che la libertà della rete va difesa, ma è troppo infetta dai mali dell'ignoranza e dell'indifferenza per rendersene conto. Non ha mosso un dito per proteggere i diritti dei cittadini approvando (o non opponendosi a) leggi liberticide. Come quella sul diritto d'autore, "ispirata" dagli Stati Uniti, che istituisce un regime di delazione legalizzata, obbliga al pagamento di un balzello alla Siae (il famigerato bollino) anche chi non ne fa parte, a pena di sanzioni anche penali, impedisce la libera circolazione delle informazioni tecniche e scientifiche. E si è inginocchiata davanti a Bill Gates consacrandone la "colonizzazione" della pubblica amministrazione (basta guardare ai software per la firma digitale, che sono stati realizzati praticamente solo per Windows).
Ma questo processo di asservimento delle libertà individuali agli "interessi forti" va ben oltre i confini nazionali. Le decisioni politiche vengono sempre più spesso prese al di fuori delle aule parlamentari, che si trovano a dover svolgere funzioni di meri "certificatori" di quanto stabilito da moloch quali l'organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale, il Wto e tutti i loro omologhi. E senza che ci sia nemmeno, per i cittadini, la garanzia formale minima della trasparenza e dell'accessibilità alle fonti pubbliche.
E' chiaro che a questo punto ci si trova di fronte ad un bivio e che bisogna scegliere da quale parte stare, ma bisogna farlo adesso, prima che la storia decida per noi.

* Docente universitario e presidente
Alcei


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