Il Nobel dell'autogestione

ALFIO GATTO - TORINO

Il Nobel dell'autogestione
Torino, affollata assemblea all'Umberto I. I liceali invitano Dario Fo e discutono della guerra
ALFIO GATTO - TORINO


L'autogestione legalizzata non prevede l'okkupazione, le bandiere e la conquista di una libertà che è già diritto. Restano i rasta, le kefiah, i pantaloni a zampa, una maglia del Che modello nuovo Millennio. Il liceo classico Umberto I di Torino ha proclamato cinque giorni di cultura alternativa. Hanno aderito 300 studenti su 437, gli altri entrano in classe diligentemente, ma si affacciano alla finestra quando la musica diventa invadente, un po' sconsolati quando Dario Fo attraversa il portone. Sorride tanto, il Maestro, tra il cappello blu e un cache-col morbido, regala "ciao" a tutti gli occhi che incrociano i suoi. I ragazzi lo precedono di corsa, su per le scale, alla ricerca di un posto in aula magna.
Dieci minuti prima nel cortile pieno di azzurro e di sole, 16 ragazzi del gruppo teatro avevano recitato la pièce messa insieme in questi giorni di autogestione. Scene da un conflitto: l'inizio è il coro dei Persiani di Eschilo. I pareo dell'estate al mare diventano chador, i ragazzi urlano "la guerra è piena di matti".
In assemblea è Oliviero, capelli raccolti nella coda e mani nascoste da una maglia troppo lunga, che tiene in mano il microfono. Fa il rappresentante d'istituto, ha 18 anni da poco. Il maestro l'ha portato lui a scuola, in taxi. "Siamo qui per dire no alla guerra, no alle privatizzazioni": slogan veloci prima di dare la parola all'ospite. Ma lui ha più voglia di ascoltare che di parlare: "Vorrei che qualcuno mi raccontasse che cosa avete fatto in questa settimana di autogestione, cosa volete". Cambiare il mondo, mentre il mondo cambia alla velocità della luce. "Ci siamo trovati a disagio di fronte a questa guerra", spiega Francesca, tremante di emozione, dalla V A. "Abbiamo parlato, abbiamo scritto, abbiamo ascoltato i politici. Di tutti partiti". Non ci sono risposte alla domanda di giustizia. C'è spazio per lo sdegno e la rabbia, il tempo per una battuta: "Le bombe sono intelligenti, sono imbecilli quelli che le buttano", il maestro strappa applausi e sorrisi. "Dobbiamo agli Stati uniti la liberazione dal nazifascismo. Però non dimentichiamo anche il sacrificio dei russi. Ovvio che il terrorismo è una cosa orribile, ma qualcuno si interrogato sui perché? Che cosa rappresenta l'America? Cos'è l'arroganza di una civiltà?". Ricorda la tragedia di Cavalese, quando il volo "esibizionista" di due piloti americani provocò la strage della funivia sul Cermis. L'arroganza è la sentenza: piloti allontanati dall'esercito, nessun risarcimento ai parenti delle vittime. La Cia che prima addestra bin Laden, poi gli mette una taglia sulla testa. Che organizza colpi di Stato. Fascisti, criminali: parole che sembrano appassite ma non lo sono affatto. La contraddizione è il denaro sporco, il traffico di droga, il riclaggio nei paradisi fiscali.
Si accalora il Maestro quando ripercorre quella storia d'Italia che la sua platea conosce poco: le stragi di Stato, gli anni dei sacchi di sabbia vicino alla finestra. A lui quasi manca il fiato, ai ragazzi la conoscenza. Ma se ne stanno seduti per terra, disciplinati, attenti. Si abbracciano per stare più vicini, si parlano piano piano, mentre il Giullare parla in fretta e ricorda, gesticolando, che chi si dimentica di insegnare è un imbecille. Non c'è conoscenza senza coscienza. Dice che "la comunicazione è il momento primo della civiltà".
La vita deve entrare nella scuola, non solo durante l'autogestione. Lo chiede un insegnante che cita l'Adelchi del Manzoni e sembra uscito dal telefilm Compagni di scuola. Una professoressa alza mano e dice: "Io insegno arte, non ho una conoscenza adeguata per raccontare la storia della Repubblica. Come si fa?". Dario Fo è lapidario: "Basta scegliere, insegnare una sola, corretta e profonda verità".
Nella lezione tutti hanno qualcosa da imparare. Il segreto è nell'orecchio, teso come quello del Maestro. Se Piero Fassino avesse avuto il tempo di venire in questa scuola (lo avevano invitato) avrebbe avuto qualcosa da imparare, lui che si è posto l'obiettivo di ritornare a parlare con i giovani. Ma forse loro non l'avrebbero ascoltato.

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