Il Nobel dell'autogestione
L'
ALFIO GATTO -
TORINO
Dieci minuti prima nel cortile pieno di azzurro e di sole, 16
ragazzi del gruppo teatro avevano recitato la pièce messa insieme
in questi giorni di autogestione. Scene da un conflitto: l'inizio
è il coro dei Persiani di Eschilo. I pareo dell'estate al mare
diventano chador, i ragazzi urlano "la guerra è piena di matti".
In assemblea è Oliviero, capelli raccolti nella coda e mani
nascoste da una maglia troppo lunga, che tiene in mano il
microfono. Fa il rappresentante d'istituto, ha 18 anni da poco.
Il maestro l'ha portato lui a scuola, in taxi. "Siamo qui per
dire no alla guerra, no alle privatizzazioni": slogan veloci
prima di dare la parola all'ospite. Ma lui ha più voglia di
ascoltare che di parlare: "Vorrei che qualcuno mi raccontasse che
cosa avete fatto in questa settimana di autogestione, cosa
volete". Cambiare il mondo, mentre il mondo cambia alla velocità
della luce. "Ci siamo trovati a disagio di fronte a questa
guerra", spiega Francesca, tremante di emozione, dalla V A.
"Abbiamo parlato, abbiamo scritto, abbiamo ascoltato i politici.
Di tutti partiti". Non ci sono risposte alla domanda di
giustizia. C'è spazio per lo sdegno e la rabbia, il tempo per una
battuta: "Le bombe sono intelligenti, sono imbecilli quelli che
le buttano", il maestro strappa applausi e sorrisi. "Dobbiamo
agli Stati uniti la liberazione dal nazifascismo. Però non
dimentichiamo anche il sacrificio dei russi. Ovvio che il
terrorismo è una cosa orribile, ma qualcuno si interrogato sui
perché? Che cosa rappresenta l'America? Cos'è l'arroganza di una
civiltà?". Ricorda la tragedia di Cavalese, quando il volo
"esibizionista" di due piloti americani provocò la strage della
funivia sul Cermis. L'arroganza è la sentenza: piloti allontanati
dall'esercito, nessun risarcimento ai parenti delle vittime. La
Cia che prima addestra bin Laden, poi gli mette una taglia sulla
testa. Che organizza colpi di Stato. Fascisti, criminali: parole
che sembrano appassite ma non lo sono affatto. La contraddizione
è il denaro sporco, il traffico di droga, il riclaggio nei
paradisi fiscali.
Si accalora il Maestro quando ripercorre quella storia d'Italia
che la sua platea conosce poco: le stragi di Stato, gli anni dei
sacchi di sabbia vicino alla finestra. A lui quasi manca il
fiato, ai ragazzi la conoscenza. Ma se ne stanno seduti per
terra, disciplinati, attenti. Si abbracciano per stare più
vicini, si parlano piano piano, mentre il Giullare parla in
fretta e ricorda, gesticolando, che chi si dimentica di insegnare
è un imbecille. Non c'è conoscenza senza coscienza. Dice che "la
comunicazione è il momento primo della civiltà".
La vita deve entrare nella scuola, non solo durante
l'autogestione. Lo chiede un insegnante che cita l'Adelchi del
Manzoni e sembra uscito dal telefilm Compagni di scuola.
Una professoressa alza mano e dice: "Io insegno arte, non ho una
conoscenza adeguata per raccontare la storia della Repubblica.
Come si fa?". Dario Fo è lapidario: "Basta scegliere, insegnare
una sola, corretta e profonda verità".
Nella lezione tutti hanno qualcosa da imparare. Il segreto è
nell'orecchio, teso come quello del Maestro. Se Piero Fassino
avesse avuto il tempo di venire in questa scuola (lo avevano
invitato) avrebbe avuto qualcosa da imparare, lui che si è posto
l'obiettivo di ritornare a parlare con i giovani. Ma forse loro
non l'avrebbero ascoltato.