Il colorato e sinuoso pop rai di Cheikha Remitti
"Quando smetterà di cantare?", le ha chiesto recentemente
un giovane giornalista spagnolo. Impertinenza per impertinenza,
Cheikha Remitti gli ha risposto: "quando tu smetterai di fare
l'amore". Abderrahmane Semghouni, il suo bassista, dice "E'
fantastico, la ascoltavano i nostri nonni, tutti gli artisti
della sua generazione non ci sono più, e noi suoniamo con lei:
sembra incredibile". Remiti è di ottimo umore. In francese riesce
a dire solo qualche parola qua e là in mezzo all'arabo, ma si
spiega benissimo: comincia a sciorinare una serie di nomi,
Khaled, Fadela, Sahraoui, Zahouania, Djenia, e poi rivolge verso
il ventre le mani - completamente rosse di henné sotto, blu e
tatuaggi sopra - come a dire: "non erano ancora nati". Poi
comincia a battere sul suo chiodo fisso: le hanno portato via le
canzoni.
Al teatro Juvarra di Torino uno spettacolo smagliante della
cantante maghrebina, con band e ballerina
MARCELLO LORRAI -
TORINO
Niente di male se le avessero riprese, ma non dire che erano sue
non era giusto. Khaled, per esempio, le ha rubato La
camel eHada Raykoum. E Remitti si lancia in una
irresistibile parodia di Khaled che canta La camel; e poi
- lei che non è uno stinco di santo, ma che ha davanti una sobria
coca cola - con un gesto fa capire che Khaled alza troppo il
gomito, e gonfia le gote per infierire sulla star, da tempo
visibilmente ingrassata. Un paio d'anni fa a Parigi hanno
organizzato una serata in comune, Remitti e Khaled, e lei
perfidamente ha cantato proprio le canzoni incriminate. Anche
l'Orchestre Nationale de Barbès ci ha provato, non ha dichiarato
come di Remitti una canzone che invece era sua: hanno avuto il
fatto loro, Remitti (lei spesso parla di sé in terza persona)
ormai mette tutto in mano ad un avvocato. Ma soprattutto - lo
racconta con l'aria di una bambina soddisfatta di avere reso un
dispetto con un dispetto - visto che i più giovani le hanno
rubato le canzoni, lei non ruba niente a nessuno, però - come
nell'album Sidi Mansour (che non le piace), realizzato
con Robert Fripp, o l'ultimo Nouar (di cui è contenta),
allestito con il determinante contributo del tastierista Mohamed
Maghni - si è messa a fare anche lei della musica moderna: così
imparano. Ma si sta togliendo anche altre soddisfazioni: a giugno
è stata per la prima volta negli Stati Uniti, in concerto al
Central Park di New York; in agosto è tornata a cantare nel suo
paese per la prima volta dal '78, l'anno in cui si è trasferita
definitivamente in Francia, rientrando in Algeria solo per le
vacanze, senza esibirsi neanche in feste private. Remitti ha un
bel dire sempre che in Algeria tutti le vogliono bene (in
un'intervista di una decina di anni fa non ci aveva concesso
niente: problemi ? mai avuti; interventi delle gendarmerie?
macché; gli integralisti ? Remitti non offende nessuno), ma
qualche problema ci deve pur essere.All'aeroporto di Algeri la
aspettavano con le bandiere algerine. Però dopo l'apparizione al
Festival della Gioventù (per lei i bigliettisono andati a ruba, e
i bagarini hanno fatto affari d'oro) Remitti ha ritenuto che la
rappresentanza del governo che le facevanoincontrare non fosse di
rango sufficientemente elevato e in stile col suo caratterino ha
pensato bene di annullare il resto delprogramma e delle
esibizioni previste. Ma dato che è il suo momento, non è strano,
a fronte della leggenda Remitti, che le sue incisioni storiche
non siano rimesse in circolazione ? Anche di questo si sta
occupando l'avvocato. A New York ha trovato dei cd con antiche
registrazioni riedite a sua insaputa; durante una cena a Londra
si è commossa vedendosi mostrare dei rari 45 giri con in
copertina lei con quarant'anni di meno; raccontano poi i suoi
musicisti che, durante un concerto in Spagna, è trasalita quando
uno spettatore ha urlato il titolo di un suo vecchio classico, e
un altro allora ha gridato "Pathé Marconi!": il nome della prima
casa discografica di Remitti. Quando le ricordiamo i versi della
sua canzone dell'anno dell'indipendenza, in omaggio alla
resistenza. "Figli dell'Algeria, grazie per averci portato la
libertà", risponde compiaciuta pronunciando il titolo in arabo,
Ya Ouled El Djazair, e le brillano gli occhi. Occhi in
cui ancora oggi splende la sua bellezza di un tempo. Nel raccolto
Teatro Juvarra, nell'ambito della dodicesima edizione del ciclo
"Dalle nuove musiche al suono mondiale", organizzato da Musica
90, Remitti si presenta con un fiore vermiglio appuntato sui
capelli corvini, un abito celeste lungo fino ai piedi e una
cintura dorata. Intorno ha Maghni alle tastiere. e poi chitarra,
basso, batteria e derbouka. A qualche anno dal rodaggio, il rai
di Remitti in versione pop ha trovato un suo equilibrio, favorito
dal carattere ipnotico del suo canto e dei suoi ritmi, che si
combinano bene con una confezione elettrica. E la chitarra, nella
mani di un francese dalla lunga chioma, introduce un gustoso
tocco di acidità rock che non è nella tradizione del pop-rai.
Quando Remitti intona La Camel, il suo portamento vocale
è una lezione: non è difficile capire perchè il rai abbia
provocato tali e tante tempeste ormonali tra gli algerini di
diverse generazioni. Poi canta cavalli di battaglia come Sidi
Mansour, C'est Fini J'en Ai Marre, e va verso
la chiusura conRassoul Allah, la canzone in omaggio al
Profeta con cui si conclude Nouar.
Non fa in tempo a terminarla che è già sul palco, con un
contrasto pienamente remittiano, Ourhida, giovane e sinuosa
ballerina, caschetto di capelli biondi e pelle ambrata, veli e
lustrini come una danzatrice del ventre, che fra trasparenze e
luccichii accompagna alcune canzoni. Remitti non ha certo paura
che le rubi la scena. Conosce il potere della voce, e poi non è
gelosa dei giovani: dall'alto dei suoi settantotto anni lei, che
a cinquant'anni era ancora una grande rubacuori, sa di avere
fatto fino in fondo la sua parte.