Cambio
di stagione
L' economia italiana sembra aver ripreso forza nel corso
degli ultimi anni anche se le differenze territoriali rimangono
le più acute tra i paesi dell'Ue. L'imponente ristrutturazione
del mercato del lavoro italiano ha ribadito le disuguaglianze
storiche, mentre la produzione giuslavoristica è diventata sempre
più voluminosa. Da questo punto di vista, il recente volume
Il mercato del lavoro nel Veneto. Rapporto 2001 (Franco
Angeli, pp. 440), curato da Veneto Lavoro, l'ex Agenzia regionale
per l'impiego, fornisce un quadro dei processi in atto in una
delle regione più dinamiche nel decennio appena trascorso. Si
tratta di un annuario, pubblicato ormai da diversi anni,
corredato da una ricca mole di dati statistici che coglie in
profondità alcuni aspetti della realtà veneta attraverso
quattordici saggi suddivisi in tre parti: tendenze, politiche e
approfondimenti.
"Il mercato del lavoro nel Veneto. Rapporto 2001", curato
da Veneto Lavoro per Franco Angeli. Mappe e dati sulle nuove
tendenze e le politiche occupazionali del "modello Nordest"
DEVI SACCHETTO
Nella prima parte si delinea la cornice di questo opaco mercato
del lavoro con un'analisi dei profili territoriali e della
mobilità. Come sottolinea Bruno Anastasia nel suo saggio "Le
tendenze generali del mercato del lavoro", il Veneto pur
confermandosi a vocazione principalmente industriale (48% degli
occupati), attraversa un nuovo processo di ristrutturazione:
aumento delle imprese medio-grandi e del numero di dirigenti,
quadri e impiegati, mentre cala la quota di lavoro indipendente.
Oggi quasi il 71% dell'occupazione complessiva nel Veneto è alle
dipendenze.
L'articolo di Anna De Angelini e Anna Giraldo si occupa invece
dei flussi in entrata e uscita dal lavoro. La distinzione netta
tra occupati e disoccupati non sembra più essere esplicativa in
quanto i passaggi lavorativi sono particolarmente intensi e ogni
sostituzione avviene in un tempo assai più breve della media
italiana. Tale fluidità porta con sé una maggiore frammentarietà
delle esperienze lavorative che si trasforma in emarginazione
sociale, in particolare per quanti devono adattarsi ai lavoretti
precari e malpagati dove l'accumulo di conoscenze e di contatti
sociali è scarso. E' piuttosto nelle esperienze lavorative legate
alla new economy che la formazione nel lavoro è più
ricca, garantendo contatti con un numero più ampio di soggetti.
Per i giovani veneti, "l'arrangiarsi" in attesa di un "vero"
lavoro diventa così un momento fondamentale della propria
identità professionale e talvolta uno stigma duro da nascondere.
L'immagine del mercato del lavoro locale nel Veneto
sembra essere quella di un barile ormai raschiato a fondo. Nel
2000 le forze di lavoro hanno superato i due milioni, facendo
lievitare i tassi di attività ufficiali e, in particolare quello
delle donne.
A giudizio degli autori, come anche di altri ricercatori della
realtà veneta, è che comunque tali percentuali devono essere
corrette al rialzo a fronte della grande mole di lavoro a nero o
comunque irregolare. La crescita del livello di scolarizzazione
ritarda l'entrata formale nel mondo del lavoro, ma poi nelle
fasce centrali di età si lavora con più frequenza rispetto ad un
tempo. La mobilitazione al lavoro è intensa attingendo al bacino
di casalinghe come anche di studenti che coniugano lo studio con
il lavoro durante il periodo estivo non solo in attività
stagionali tipiche (turismo e commercio) ma pure all'interno del
settore industriale. L'espansione produttiva ha indotto un
riversamento di capitali verso contesti a più alta disoccupazione
e più in generale verso aree dotate di reti infrastrutturali
idonee, ma tale decongestionamento interessa solitamente le parti
più povere del ciclo produttivo. Si tratta di un doppio
movimento: da un lato trasferimento di spezzoni produttivi
(nell'Europa orientale come nelle aree limitrofe, quali ad
esempio le province di Venezia e di Rovigo) e dall'altro azione
di richiamo di manodopera meridionale - scarsamente
contabilizzata - e di migranti stranieri provenienti sia
direttamente dai paesi di origine sia da altre regioni italiane.
Ogni anno vengono attivate circa mezzo milione di assunzioni, in
particolare di donne (44% di tutte le assunzioni) e migranti
(15%). La durata media di un posto di lavoro nel settore privato
è scesa a circa due anni, anche se per gli stranieri non supera i
dodici mesi. I migranti sono coloro che transitano più
velocemente da una condizione lavorativa a un'altra con una bassa
permanenza nello status di disoccupazione.
La seconda parte del libro riguarda gli aspetti legislativi
nazionali e le politiche attuate dalla Regione Veneto. In
particolare l'analisi delle politiche del lavoro attive e passive
è impressionante, dato l'intrico di percorsi praticati per
ampliare la base lavorativa. Per l'economia veneta la necessità
di reperire quote di forza lavoro a basso costo su vasta scala è
un'esigenza imprescindibile anche se per le politiche del lavoro
si sono spesi in Veneto solo 1600 miliardi, il 5% del totale
nazionale. Anna De Angelini ("Il nuovo apprendistato nel Veneto")
analizza gli effetti dell'ampliamento del novero dei soggetti
interessati al contratto di apprendistato - oltre il 14% dei
nuovi avviati al lavoro. Per particolari categorie -
l'elettricista, la parrucchiera, l'idraulico e gli installatori -
l'apprendistato risulta la modalità prevalente d'ingresso.
I saggi forse più innovativi del volume si riferiscono ad alcuni
studi che cercano di cogliere i mutamenti e gli orientamenti dei
diversi attori sociali: dalla formazione nell'apprendistato al
passaggio scuola-lavoro dei giovani, all'interinale (meno del 2%
di tutti i lavoratori dipendenti), al lavoro degli stranieri,
fino ai percorsi di reimpiego e alle nuove forme di conciliazione
delle controversie individuali. Uno dei saggi sicuramente di
maggior interesse - "Extracomunitari al lavoro: tre nodi
statistici affrontati (e risolti)" - è di tre ricercatori di
Veneto Lavoro: Bruno Anastasia, Maurizio Gambuzza e Maurizio
Rasera. La forza lavoro extracomunitaria in Italia è stimata in
circa un milione di persone; 100 mila opererebbero nel Veneto con
un aumento sostenuto in particolare negli ultimi due anni -
rispettivamente del 19% e del 28,6. All'apertura enorme del
numero di nazionalità presenti nel mercato del lavoro locale - si
sono contate fino a 120 nazionalità - corrisponde un'oculata
gestione dei flussi migratori che tende a strutturarsi su binari
posati da tempo. Sono lavoratori provenienti dal Marocco, dalla
ex-Jugoslavia, dalla Romania, dall'Albania e dalla Cina a
costituire quasi il 50% del totale di nuovi arrivati negli ultimi
due anni: oltre il 52% dei lavoratori albanesi, il 36 degli
iugoslavi e il 69 dei rumeni sono giunti nell'ultimo biennio.
A questo flusso di lavoratori in fuga dalla destabilizzazione
economica e politica di intere aree sembra essere offerto -
quando c'è - un contratto sempre meno stabile: fino al 1996 per
il 72,3% di questi lavoratori stranieri il primo contratto era a
tempo indeterminato; nel 2000 si scende al 48,4%. I lavoratori
più stagionali degli altri sono gli africani, in particolare i
marocchini, occupati in agricoltura, negli alberghi e
nell'industria. A tale incertezza corrisponde probabilmente anche
un progressivo sottoinquadramento contrattuale: nel 2000 tre
quarti delle autorizzazioni per lavoro rilasciate riguardavano
infatti la richiesta di operai generici.
Come lascia intendere questa indispensabile pubblicazione, le
sperequazioni non sono soltanto territoriali, ma si rintracciano
anche all'interno delle singole aziende. Essa costituisce quindi
la necessaria premessa per ulteriori studi qualitativi che ci si
augura potranno seguire.
Per motivi di spazio la rubrica "Politica o quasi" di Ida
Dominijanni è rimandata a domani. Ce ne scusiamo con lettrici e
lettori