I talebani passano all'"opposizione"
Dopo Kabul, Kandahar. I Taleban, su indicazione del Mullah
Omar, abbandonano anche la città simbolo dell'Emirato Islamico
dell'Afghanistan da cui, fino a poche settimane fa, provenivano
le direttive ideologiche che hanno governato la vita sociale e
politica della nazione dell'ultimo quinquennio.
PIERGIORGIO PESCALI
La mossa, più che un riconoscimento della disfatta militare,
potrebbe rivelarsi un ripiegamento tattico che complicherebbe
ancor più la matassa afghana. Cominciamo col dire che, con tutta
probabilità, a questa decisione si è pervenuti su suggerimento
dello stesso Osama bin Laden, il quale, subito dopo l'annuncio di
Washington di dispiegare una poderosa forza distruttrice in
Pakistan, sarebbe divenuto "consigliere" del Ministro della
Difesa, il Mullah Mohammad Hassan.
A chiunque è apparso chiaro che l'antiquato e male armato
esercito taleban non sarebbe stato in grado di contrastare la
superiorità tecnologica di un attacco congiunto di Stati Uniti e
Gran Bretagna, a cui si aggiungevano le truppe dell'Alleanza
Settentrionale. La preparazione alla "fase due" della guerra,
cioè l'attuale ripiegamento delle forze degli studenti islamici
in zone aperte, sarebbe iniziata subito dopo l'attentato dell'11
settembre, quando gli Stato uniti lanciarono il loro j'accuse a
Osama bin Laden.
La resistenza alla penetrazione terrestre, sarebbe dovuta durare
il tempo sufficiente per permettere ad una adeguata quantità di
personale e di armi di raggiungere i "centri di raccolta" attorno
a Kandahar, per poi disperdersi nelle aree limitrofe. Questi
preparativi sarebbero terminati una settimana fa, allorché
Mazar-i-Sharif fu improvvisamente abbandonata dai Taleban (il
giorno prima della presa di questa città chiave, le truppe del
generale Dostum erano ancora ferme ad una cinquantina di
chilometri dal centro). Poi fu la volta di Herat (caduta in soli
due giorni di combattimenti) ed infine Kabul (qui addirittura non
ci sono stati veri scontri a fuoco).
Ora bin Laden potrebbe mettere a disposizione dei Taleban i
propri campi d'addestramento dispersi tra le montagne delle
regioni meridionali e il supporto logistico e militare di
al-Qaeda, magari con la complicità di qualche servizio segreto di
un Paese amico o doppiogiochista. Tutto questo costituirebbe una
formidabile spada che taglierebbe ogni germoglio di speranza di
pace che potrebbe cominciare a nascere nel Paese, tanto più che,
a differenza di quanto va affermando da mesi la maggioranza dei
media, i Taleban possono contare sull'appoggio di molte comunità
pashtun commercianti e nomadi che grazie al loro governo hanno
potuto riscattare la sudditanza politica e economica subita
durante il regime tagiko di Rabbani tra il 1992 e il 1996.
Non solo: le tribù beluchi e pashtun pakistane, tradizionalmente
ostili alle etnie settentrionali, hanno già fatto sapere di
essere disposte ad appoggiare gli studenti islamici nel caso
questi decidessero di fronteggiare il futuro nuovo governo
dell'Alleanza del Nord a Kabul.
Stati Uniti e Gran Bretagna, in contropiede dall'improvvisa
caduta di Kabul, si trovano in una situazione ben poco
invidiabile: i bombardieri fino ad oggi utilizzati sono oramai
inservibili per debellare una guerriglia sparsa e ben protetta
nella complicata morfologia territoriale afghana, ma al tempo
stesso non hanno nessuna intenzione di subire perdite umane in
una guerra di terra - combattimenti, enfatizzati, di truppe
americane di terra riguardano poche unità di truppe scelte.
Londra ricorda ancora le disfatte subite dalle proprie armate
nell'era coloniale, mentre Washington non vuole perdere
l'appoggio dell'opinione pubblica come nel Vietnam.
D'altro canto l'Alleanza del Nord sa bene quanto sia impossibile
sconfiggere bande armate, e per di più ben addestrate, in
territori che conoscono poco e, molto probabilmente, abitati da
popolazioni a loro ostili. Poco possono servire i pashtun che
oggi stanno improvvisamente cambiando bandiera: in Afghanistan
contano più i soldi ed il carisma personale che le parole e Osama
bin Laden ha sia l'uno che l'altro. L'unico espediente possibile
potrebbe essere rappresentato da un governo di coalizione
nazionale che ingloberebbe i Taleban più moderati, ma questa
soluzione non sarebbe gradita al tagiko Rabbani, leader
dell'Alleanza Settentrionale.
L'Onu, da molti indicata con il suo ruolo come l'unica via
percorribile, potrebbe essere la mossa vincente solo nel caso
cambiasse strategia, e si impegnasse veramente a fondo nel
comprendere e mediare le ragioni delle parti in causa senza
subire direttive esterne.
In caso contrario, e nulla fa pensare che il quadro della
situazione possa migliorare, non è prevedibile che la crisi
afghana possa essere alla svolta decisiva, nel qual caso ben
presto le grida di esultanza che abbiamo visto trasmesse dagli
schermi televisivi, si trasformeranno, ancora una volta, in grida
di dolore.