Nostra bestemmia

GIULIO ALBANESE

GUERRA
Nostra bestemmia
GIULIO ALBANESE


Mai come oggi la parola "Guerra" è sulla bocca di tutti, proferita come un toccasana ai mali del mondo, una sorta di antidoto al pessimismo e ai presagi oscuri del tragico 11 settembre. Eppure, non pochi missionari e volontari che vivono nel Sud del mondo, nelle periferie dove la sofferenza è pane nero, credono che si tratti di una bestemmia: contro Dio e contro l'uomo. Forse oggi sono tra i pochi a denunciare a chiare lettere l'inganno. Non per pietismo o pacifismo. Loro testimoniano in prima persona le vessazioni perpetrate contro popoli inermi. Loro soprattutto conoscono gli effetti devastanti delle mine anti uomo e di tanti altri micidiali ordigni che seminano morte e distruzione. Pur vivendo in terre lontane, queste sentinelle di Dio ci rammentano che "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali".
Peccato che questo articolo della legge suprema dello Stato sia misconosciuto dalla classe politica occidentale. Il dissenso "missionario" per l'iniziativa militare anglo-americana in Afghanistan, alla quale si è associata l'Italia con 2.700 uomini, si fonda su motivazioni non ideologiche o viscerali, come qualcuno crede, ma rigorosamente logiche. Gli atti criminali dell'11 settembre esigevano una risposta di tutt'altro tipo. Trattandosi di terrorismo, la risposta punitiva non poteva essere affidata ai militari, ma alla giustizia internazionale: magistrati e forze dell'ordine. E non è tutto. Anche sul piano pratico la storia insegna che per contrastare fenomeni come terrorismo e criminalità, la guerra è strumento inadeguato e inefficace. Violenza chiama violenza e il magistero della Chiesa, soprattutto dal Concilio Vaticano II ad oggi, è un valido punto di riferimento per il discernimento. Anche perché le responsabilità occidentali nelle tragedie del Sud del mondo sono colossali. I talebani, come altri movimenti integralisti, per anni sono stati al soldo di coloro che oggi invocano vendetta. Quando si pensa che i Paesi occidentali spendono ogni anno 500 miliardi di dollari per la difesa (solo gli Usa 312 miliardi di dollari) e il debito estero di tutti i paesi dell'Africa Subsahariana è di circa 260 miliardi di dollari, i conti sono presto fatti. Vero che ci si lava la coscienza con vagonate di derrate alimentari o con gallette paracadutate sui campi minati: ma questa è ipocrisia. Come ebbe a dire recentemente al Sinodo dei Vescovi, monsignor Vincent Michael Concessao, arcivescovo di New Delhi, esiste anche il terrorismo economico che affama il Sud del mondo.
L'amarezza riguarda poi, inutile nasconderselo, la classe politica occidentale asservita al dio denaro. Le vere opzioni contro la malavita organizzata, il terrorismo e la miseria che attanaglia milioni di uomini e di donne rimangono lettera morta. Vi sono purtroppo ancora troppi "Paesi democratici" che non hanno ratificato trattati importanti per la Pace: vale a dire quelli di Ottawa sull'abolizione delle mine anti-uomo e di Roma sul Tribunale penale internazionale permanente, o perfino la Convenzione sui diritti del fanciullo. Viene alla mente il messaggio rivolto da Paolo VI all'Assemblea dell'Onu il 4 ottobre 1965: "Finché l'uomo rimane l'essere debole e volubile e anche cattivo, quale spesso si dimostra, le armi della difesa saranno necessarie, purtroppo; ma voi, coraggiosi e valenti quale siete state studiando come garantire la sicurezza della vita internazionale senza ricorso alle armi: questo è il nobilissimo scopo, questi i Popoli attendono da voi, questo si deve ottenere". Queste parole furono pronunciate 36 anni fa. A tutt'oggi sono ignorate e disattese per mancanza di volontà politica, ma soprattutto per le negligenze dei grandi della Terra. Una responsabilità grave che ci ha trovato impreparati di fronte alla tragedia delle "Twin Towers", in cui ora la vendetta ha preso il sopravvento sulla giustizia.
Giulio Albanese è direttore dell'agenzia
missionaria "Misna"


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