Italia-Croazia ai ferri corti
DIPLOMAZIA Scontro aperto dopo l'annuncio di Ciampi di
decorare l'ultima amministrazione italiana di Zara
GIACOMO SCOTTI -
ZAGABRIA
Si sperava che i rapporti sarebbero migliorati dopo la
recentissima prima visita ufficiale di Ciampi a Zagabria (9 e 10
ottobre), il suo festoso e trionfale viaggio a Fiume e in Istria
attraverso Rovigno e Pola a braccetto con il presidente croato
Mesic e fra gli osanna della minoranza italiana in queste terre.
Era stata annunciata la firma di un Trattato di amicizia e di
collaborazione fra i due paesi per il 29 ottobre, un trattato che
era in gestazione di circa dieci anni, e invece... Invece quella
medaglia ha portato lo scompiglio nei rapporti bilaterali, che
sono precipitati nell'ultima settima di ottobre al più basso
livello mai raggiunto da quando la Croazia è uno Stato
indipendente. Da sette gironi il governo del socialdemocratico
Racan strilla fino al cielo, facendo cadere un sipario pesante
fra Zagabria e Roma, minacciando il ritiro dell'ambasciatore. Un
brutto casino nel momento in cui la Croazia ha firmato a
Lussenburgo l'accordo di associazione e stabilizzazione con l'Ue,
che impegna i contraenti (anche l'Italia) a collaborare con i
vicini, evitando di accendere nuovi focolai di crisi. La crisi,
invece, è in atto. E non potrà rientrare senza che il Quirinale
faccia un passo indietro. Per ora si limita a tacere. Un silenzio
che non dice nulla di buono. Come nulla di buono fa sperare la
polemica furiosa accesasi in Croazia dove i giornali dedicano
ogni giorno da una a tre pagine intere al "caso italiano",
avvelenando l'atmosfera con gran giubilo dei nazionalisti.
Insomma a Zagabria sono saliti ai massimi gradi della scala
Mercalli i movimenti sismici del superpatriottismo a tinte
anti-italiane. Con un gesto inconsulto di Roma sono stati
rovinati i risultati di un paziente pluriennale lavoro compiuto
dalle forze democratiche dell'una e dell'altra sponda per
seppellire una volta per sempre un brutto passato, quello
dell'aggressione alla Jugoslavia nell'aprile 1941 con
l'annessione di larghe fette della Dalmazia e l'occupazione delle
rimanenti, e il corollario dei crimini di guerra. Ora in Croazia
si chiedono se l'Italia sia cambiata a tale punto negli ultimi
pochi mesi da far riaprire le sanguinolenti ferite di oltre mezzo
secolo addietro. Dove si andrà a finire? Il selenzio di Roma
alimenta i sospetti peggiori. Sospetti potenziati da una lettera,
pubblicizzata da una parte della stampa italiana, che il "Gruppo
Memorandum 88 di Esuli Istriani, Fiumani e Dalmati" ha spedito a
Ciampi. In essa il presidente italiano viene esaltato per il
gesto che ha portato alla quasi rottura dei rapporti fra Italia e
Croazia, si protesta contro la "proterva, inconsulta, scomposta e
inaccettabile reazione della Croazia" definita addirittura come
tentativo di "uno Stato straniero di interferenza con le nostre
scelte interne", si accusano gli "invadenti vicini" sloveni e
croati di "incapacità di assimilare le regole del diritto", per
sollecitare al tempo stesso la revisone degli accordi
italo-jugoslavi del 1983. La lettera si conclude con una serie di
offese ai popoli sloveno e croato che "mantengono ai loro vertici
i più fedeli allievi e successori di Tito", definendo Kucan e
Racan "gli eredi del boia".
Sul fuoco soffiano anche certi circoli politici sloveni,
servendosi - tra l'altro - della radio statale. La quale ha preso
al balzo la palla dell "passo falso" di Roma per sostenere la
necessità che Lubiana e Zagabria risolvino al più presto le loro
questioni aperte sui confini facendo blocco comune contro i
pericoli che incombono sull'una e sull'altra dal vicino
occidentale. Si fa capire che con un governo di destra italiano,
nel quale una colonna portante è rappresentata dai post-fascisti
che a Trieste ed a Roma hanno sempre strumentalizzato gli esuli
dalmati, istriani e fiumani per mantenere alta la tensione nei
rapporti con i vicini slavi e rivendicare una revisione del
trattato di pace che impose gli "ingiusti confini", sarebbe
illusorio attendersi rapporti idilliaci con l'Italia. In realtà
sia Lubiana che Zagabria hanno i nervi scoperti; la nuova
fiammata nazionalista alimentata da un vento dello stesso
carattere che soffia dalla sponda occidentale, si spiega col
rafforzamento della destra estremista, sciovinista e patriottarda
dei due paesi.
Per concludere: la medaglia d'oro italiana concessa a una Zara
non più italiana da cinquantasei anni e il riconoscimento al
massimo livello di un "libero comune di Zara in esilio" non vale
il discretito che ricade sull'Italia messa in difficoltà con i
suoi partner comunitari dal "gran rifiuto" croato. Senza contare
i rimproveri americani contenuti in un articolo dell'altro ieri
sul "Washington Post". Né il "gran rifiuto" dei permalosi croati
vale il tesoro che Zagabria perde rinunciando all'amicizia con
un'Italia che è il migliore sponsor per il suo ingresso nell'Ue.