Il caso "Jalla! Jalla!"

GIULIA SBARIGIA - ROMA

Il caso "Jalla! Jalla!"
CINEMA Presentato il film libano-svedese di Josef Fares
GIULIA SBARIGIA - ROMA

Josef Fares ha solo 24 anni e già è un caso cinematografico. Il suo Jalla! Jalla! ha spopolato e non solo in Svezia, paese dove Fares vive e lavora, ma un po' in tutti i festival internazionali, a Rotterdam per esempio ha ricevuto il premio del pubblico. In Italia uscirà il 31 ottobre, doppiato in italiano per le parti parlate in svedese, sottotilato invece per i dialoghi in arabo. Una scelta quasi obbligata, ci dice Andrea Occhipinti che con la Lucky Red distribuisce il film, dettata dalle esigenze di mercato.
La doppia matrice quindi, svedese e libanese, è l'anima del film. Ma non è un racconto di immigrazione e integrazione piuttosto spiega l'enfant prodige, è la storia privata di ragazzi come lui. "Per i miei film - aggiunge Fares - mi ispiro alla vita dei miei amici, a quello che mi accade intorno". E in effetti a recitare nella sua commedia, campione di incassi nel nord Europa, c'è tutta la famiglia Fares, che scappata dal Libano a causa della guerra, vive ormai da dieci anni in Svezia, in un paesino, Orebro, a pochi kilometri da Stoccolma. Il regista, suo fratello Fares (nome e cognome coincidono), il padre e la sorellina, sono presenti a Roma in conferenza stampa. Tutti seduti intorno al tavolo con l'interprete che parla inglese e i due fratelli che traducono in arabo le domande destinate al padre.
Josef, "il re del low badget di Orebro" (usa il digitale, ma ammette di non amare il Dogma), ha il look alla Mtv, uno dei suoi lavori, un cortometraggio, si chiama appunto Cool guy ed è stato girato durante le vacanze con i suoi amici. Proprio questo corto ha segnato l'inizio della collaborazione tra Josef Fares e Luckas Moodysson, regista di Fucking amal e Together che produce Jalla! Jalla! insieme alla Misfilm. Fares non parla del Libano, perché ci dice "dopo dieci anni di lontananza, non posso dire di avere una cultura libanese, ma non sono neanche svedese". Ed è prorpio da questa mancanza di radici, che pur non rinnega l'appartenenza a una cumunità, che il giovane cineasta ha tratto la verve dei suoi film.
"La Svezia è stato uno dei primi paesi ad aprire le frontiere, qui gli stranieri sono accolti bene" dice il regista, ma suo fratello Fares, attore di teatro e protagonista del film è meno edulcorato: "la Svezia è un buon paese, ma non immaginatevi un posto idilliaco".

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