Il teatro contagio globale

GIULIA SBARIGIA - ROMA

Il teatro contagio globale
"Il palcoscenico riunisce persone che non parlano la stessa lingua, che vedono il mondo in maniera diversa". Incontro con il genio della scena californiana, a Roma per presentare "Due concerti tra Oriente e Occidente"
GIULIA SBARIGIA - ROMA

Il ciuffo è quello di sempre, sparato verso il cielo a sfidare le leggi di gravità. E' Peter Sellars, che è tornato a Roma per presentare Incontri con musiche straordinarie, due concerti tra Oriente e Occidente al Romaeuropa festival, il 25 e in replica il 27 ottobre. Una variazione di programma per la defezione, dovuta al diffuso panico da aeroplano, di Lorraine Hunt Lieberson, il mezzosoprano americano che doveva interpretare il previsto Bach Cantatas, ma che invece ha deciso di non lasciare gli Stati uniti.
Ha una risata contagiosa Peter Sellars, così come è contagioso il suo teatro, complessa miscela di miti antichi e contemporanei, di forme e culture diverse, come sarà lo spettacolo al teatro Argentina con canti sufi dell'Asia centrale, Bach e la tradizione musicale europea. Ma che si tratti di musica e danza, video o cinema, teatro o televisione, la sua arte ha come fulcro l'essere umano, la sua presenza, il dialogo che amana dallo scambio (e Peter Sellars che ha viaggiato e si è formato tra l'India la Cina e il Giappone ne sa cogliere e restituire l'anima pulsante), in scena e in platea e soprattutto oltre il teatro stesso. E' questo profondo senso dell'umano, la tensione verso la vita a creare il vortice delle creazioni del regista nato a Pittsburgh e residente in California dove ha diretto fino al 1993, con spirito implacabile, il festival di Los Angeles prima che l'amministazione decurtasse drasticamente i fondi.
"Tutto quello che ci è rimasto non è altro che la presenza, nell'era della Cnn ogni volta che c'è la possibilità di avere presenza umana è fondamentale. Dopo tutte le dichiarazioni, dopo la tecnologia e la Cnn è la presenza vera e reale dell'essere umano che resta. E il teatro in questo momento diventa più importante di quanto non fosse prima. Riunisce persone che si odiano, che non parlano la stessa lingua, che vedono il mondo in maniera diversa. Nel teatro si comincia dal viaggio di qualcun'altro e poi viene fuori che quello è anche il nostro viaggio. Stiamo facendo questo viaggio tutti quanti insieme, anche con i talebani. I momenti più profondi della nostra vita si verificano quando due realtà profandamente diverse finalmente si toccano". E' con queste parole che Sellars introduce il concerto romano, per spiegare il gesto di riconciliazione nella musica attraverso i canti del sufismo interpretati dalla voce uzbeka di Monajat Yulchieva e le composizioni sacre di Bach, affidate all'esecuzione dell'ensamble Concerto Italiano diretto da Rinaldo Alessandrini, nella seconda parte della serata. Sono state riprese proprie le due Cantate di Bach che facevano da filo conduttore allo spettacolo di Peter Sellars, la numero 82 Ich habe genug, e la numero 199 Mein Herze schwimmit im Blut, cioè quella musica della lotta dell'anima per lasciare il corpo, un mondo di estasi e immaginazione.
"Incredibili arabeschi quelli del compositore tedesco - ci dice Sellars - e perché si chiamano così? perché provengono dalla cultura araba. Bach compose la Sarabanda, che è una musica suonata nel nord Africa per accedere alla trance, ma lui si trovava a Lipsia nel XVIII secolo. Questa è la realtà dalla vita. Tutto ciò con cui conviviamo proviene da qualche altra parte. L'arte supera qualsiasi confine, e il potere della musica è oltrepassare qualsiasi terreno culturale, qualsiasi frontiera nazionale".

I tuoi spettacoli sono religiosi, la musica sacra di Bach o il tuo "San Franceso d'Assisi" di Olivier Messaien per esempio, come si inseriscono nell'attuale conflitto scambiato per guerra di religione?

La spiritualità manca dalla scena mediatica ed è una dimensione che forse il teatro può offrire. E l'elemento fondamentale nel proporre questioni religiose con il teatro è che non si tratta della chiesa, non è per i credenti, è aperto a tutti, perché non ci sono i limiti della dottrina. E' una materia che tutti noi condividiamo fuori dalla chiesa, dal tempio o dalla moschea. Il teatro è un luogo di dialogo.

Dopo la direzione del festival di Los Angeles passerai al festival di Adelaide in Australia, cosa ti ha ispirato allora e cosa porterai con te di quella esperienza?

Il festival è un luogo dove la vita incontra l'arte e l'arte incontra la vita, al di fuori del teatro. Un sorpendente punto di incrocio che coinvolge tutti, anche chi al teatro non ci va. L'intera città diventa il luogo dell'espressione teatrale, scena di sperimentazione. Un momento per la condivisione del dolore, ma anche di musica, danza, piacere. Il festival di Adelaide sarà incentrato su tre temi, verità e riconciliazione, cioè il dialogo tra aborigeni e australiani bianchi, il secondo punto batterà invece sulla sostenibilità ecologica, che in Australia è molto fragile. Il terzo elemento si baserà sul riconoscimento delle diversità culturali e le possibilità di convivenza. Il dialogo non deve esserci solo sul palcoscenico, si deve verificare tra la gente perché l'arte anche se ne senti solo parlare è potente, se fosse per business ci dovresti partecipare per forza, invece per l'arte la leggenda è ancora più efficace. Il teatro vero è quando le persone diventano gli attori, i protagonisti. Per il festival di Adelaide ho riunito un gruppo di 30 artisti australiani: registi, ballerini, architetti, esperti di cucina e cultura giovanile, per discutere e elaborare una risposta artistica ai problemi e alle esigenze che il paese deve affrontare. Non bisogna pensare a una risposta sul periodo breve, che è l'incubo del trionfo del capitalismo, perché il compito dell'artista è quello di offrire una visione sul futuro.

Uno dei tuoi modi di espressione è il mezzo televisivo che addirittura spesso crea il tuo teatro...

In quasi ogni stanza in cui trascorriamo la nostra vita c'è una televisione, che diventa così un personaggio. Quindi molte volte nei miei spettacoli metto una televisione sul palcoscenico perché è un qualcuno con cui conviviamo e non sta mai zitto. Come puoi avere dei tuoi pensieri quando vivi accanto a questa cosa che non fa altro che parlare? E' uno dei più grossi punti di tensione della vita quotidina, ogni parte del nostro dialogo interiore è influenzata da questa cosa lì nell'angolo. Ogni pensiero, ogni opinione è stata creata da quella scatola, se ti chiedi quali sono le opinioni basate su ciò che hai visto con i tuoi occhi e quali invece quelle create dalla tv ti rendi conto che è pazzesco. Nel mio Mercante di Venezia (ambientato a Venice in California, all'indomani della battaglia di Los Angeles n.d.r.) Shaylock recita sul palco dal vivo la sua sofferenza, è ferito, e puoi vedere lo stesso attore, la stessa immagine sullo schermo in tempo reale e allora diventa un uomo pericoloso e arrabbiato che incendierà la sua città. Nel guardare la stessa cosa si provano due emozioni completamente diverse. La televisione è in grado di cambiare la temperatura emotiva perché è così fredda, le nostre vite invece sono così calde, incendiate. E' come guardare un incendio attraverso il ghiaccio.

L'occidente sta attraversando una crisi evidente delle immagini e dell'immaginario. Da una parte il Pentagono censura le riprese dei satelliti sull'Afghanistan, la Cnn si arrende a al-Jazeera, la Casa Bianca chiede l'intervento di Hollywood, dall'altra le immagini amatoriali come il filmato sull'assassinio di Rodney King (mandato sui monitor nel "Mercante di Venezia"). Come si pone l'artista di fronte a questo cortocircuito?

Anche Napoleone aveva problemi con la sua immagine ufficiale. Ma una parte del lavoro degli artisti è andare a vedere cosa c'è oltre e dietro l'immagine ufficiale. Se sei Raffaello guardi nell'occhio del papa per vedere cosa c'è dentro. Quello che noi artisti dobbiamo raccontare è la storia segreta, interiore, sia quella della Cia, del governo, ma anche la storia segreta che accade nel cuore del fatto. La realtà della vita è sempre dentro, dietro, sotto. Il nostro compito è quello di andare a scavare. Io sono così contento di vivere nell'era di Internet, nell'epoca della videocamera digitale.
Le ultime sei settimane sono state sorprendenti per le storie tramandate su Internet, le altre storie, gli altri strati dell'informazione che non sono sulla Cnn, ma online. Si tratta di un momento molto forte, il XX secolo ha creato numerose forme d'arte che potrebbe essere utilizzate in maniera comunitaria. Internet permette il dialogo, la comunicazione bidirezionali. Il prossimo secolo dovrà affrontare proprio questo punto.

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