Attacco da dove? Dal Tagikistan, grazie a Mosca
PIERGIORGO PESCALI
La frantumazione dell'Unione Sovietica, avvenuta proprio
nell'estate-autunno 1991, ha ulteriormente complicato la
situazione, aggiungendo ulteriori tasselli al mosaico di stati e
staterelli strategicamente nevralgici per l'equilibrio regionale.
Nazioni di lieve spessore in fatto di popolazione e di bilancio
economico, come il Tagikistan, oggi assumono un ruolo
determinante, specie dopo le ultime dichiarazioni di Colin Powell
e, non dimentichiamolo, della morte del leader dell'opposizione
interna ai Taleban, Ahmed Shah Massud.
Ieri il presidente russo Vladimir Putin ha fatto un viaggio lampo
in tutte i paesi dell'Asia ex sovietica. Al governo russo preme
che il fondamentalismo islamico venga sradicato dalla regione, ma
al tempo stesso non vuole esasperare conflitti già presenti nel
loro territorio (Cecenia e Daghestan) e nuovi ed eventuali. Il
Cremlino ha quindi offerto subito un appoggio logistico ma senza
voler impegnarsi attivamente negli eventuali raid. Il
"protettorato russo" del Tagikistan, in questo caso, sarebbe la
base ideale da cui far partire i bombardieri Usa. Nel territorio
è già presente la 201ma Divisione russa - allertata domenica
diversamente dalle dichiarazioni della prima ora che parlavano
solo di coinvolgimento della logistica russa - i suoi aeroporti e
eliporti dal 1996 sono utilizzati dagli elicotteri dell'Alleanza
Settentrionale. E proprio la morte di Massud, che ha indebolito
il fronte dell'opposizione armata ai Taleban, avrebbe indotto
Mosca ad offrire il suo appoggio agli Stati uniti per evitare che
Kabul occupi anche l'ultima fetta di territorio politicamente e
militarmente legata a lei.
Mentre non smette di bruciare la questione cecena. Ieri in
Cecenia è stato ucciso il generale russo Anatolyi Pozdniakov in
un attentato dei ribelli integralisti musulmani che hanno
abbattuto l'elicottero Mi-8 a bordo del quale viaggiava con altri
otto militari, rimasti feriti. L'agenzia di stampa "Interfax" ha
precisato che Pozdniakov era vice comandante del Dipartimento
Operativo presso la stato maggiore interforze di Mosca; nella
Repubblica caucasica era a capo della commissione speciale di
coordinamento tra le Forze Armate federali e il locale governo
civile filo-russo. Il velivolo, centrato dai guerriglieri, si è
schiantato in fiamme sulla pista della base aerea di Khalkala,
presso Grozny. L'episodio si inquadra nella massiccia offensiva
sferrata dai ribelli separatisti, proprio in questi giorni, in
diversi punti strategici della Cecenia, la più importante da
mesi. Il Cremlino ha confermato gli attacchi ma ne ha minimizzato
l'entità.
Il fatto è che gli Stati Uniti, onnipresenti nel globo, nel
Centro Asia sono completamente sguarniti e si trovano a dover
chiedere la collaborazione di stati nemici, ex nemici o sino od
ora per nulla considerati, per poter sferrare un attacco aereo
all'Afghanistan. L'opzione migliore per l'aviazione statunitense
e chi si unirà ad essa, sarebbe quella di far partire gli
attacchi dal Pakistan, paese sospettato di aver forti legami con
Osama bin Laden e dai cui servizi segreti sono stati partoriti i
Taleban. Islamabad, che da più di cinquant'anni è impegnata in un
conflitto con l'India per il controllo del Kashmir, ha 10 basi
operative, 11 basi di riserva, 9 aeroporti per atterraggi di
emergenza e 23 altri aeroporti minori sparsi per il Paese. Dalle
postazioni di confine, Kabul è raggiungibile con i missili
terra-terra in pochi minuti. Nel caso il Pakistan neghi l'uso
delle proprie basi all'aviazione Usa, ecco subito l'India
disposta a dare le sue 20 basi dislocate sul confine pakistano
all'aviazione americana.
Qui potrebbe entrare in gioco un'altra grande potenza regionale:
la Cina, alleata e principale fornitrice di armi di Islamabad.
Pechino ieri ha fatto sentire la sua voce dichiarandosi contraria
ad un "attacco indiscriminato". La Cina inoltre deve contrastare
il mai sopito spirito secessionista uiguro dello Xinkjang, i cui
militanti sarebbero addestrati nei campi di Osama bin Laden. Al
tempo stesso, però, il contenzioso ancora aperto con l'India per
un'area al confine tra Ladakh e Tibet - ieri il Dalai Lama
dall'India ha invitato gli Stati uniti "a non usare la violenza"
-, costringe i dirigenti cinesi ad aver bisogno del Pakistan oggi
più che mai.
Infine l'Iran - una scelta comprensibilmente scartata fin dal
principio, vista l'ostilità con cui i governi di Teheran e di
Washington si guardano a vicenda. L'Iran potrebbe offrire il suo
neutralismo che, in questo caso, in questa regione, cuore
dell'Islam,, si potrebbe rivelare altrettanto importante quanto
un appoggio militare.