La guerra santa di Omar I
PIERGIORGIO PESCALI
Ieri a Dubai, dove l'Emirato dell'Afghanistan ha un'ambasciata,
Aziz al-Rahman, l'incaricato d'affari dei Taleban, ha rilasciato
un'intervista alla televisione di Abu Dhabi in cui dice che se
Osama bin Laden "vuole lasciare l'Afghanistan per sua volontà,
non lo fermeremo". Aggiungendo subito, però, che "se lui vuole
restare in Afghanistan, noi non potremo obbligarlo ad
andarsene".
Nel frattempo, da Kabul, i Taleban hanno riferito che ogni paese
che aiuterà gli Stati uniti nelle loro azioni militari contro
l'Afghanistan dovrà mettere in conto le inevitabili ritorsioni
degli Studenti di teologia. La pesante minaccia è stata
rivolta in particolar modo alle nazioni confinanti:
l'ambasciatore afghano in Pakistan, Mullah Abdul Salam Zaeef ha
indetto ieri una conferenza stampa in cui ha ammonito che "se un
paese confinante o un paese della regione, in particolare
islamico, dà una risposta positiva alla richiesta americana di
basi militari, deve sapere che si esporrà ad un pericolo
straordinario".
Più o meno alla stessa ora in cui si teneva la conferenza stampa
a Islamabad, i Taleban hanno ordinato agli ultimi gli ultimi
occidentali ancora presenti a Kabul e dintorni, di lasciare in
fretta il paese. Ufficialmente "per la loro stessa sicurezza".
Una mossa sorprendente perché proprio questi cittadini stranieri
potevano rappresentare un efficace scudo umano contro eventuali
attacchi aerei e missilistici su Kabul e Kandahar. Il decreto di
espulsione potrebbe però anche essere visto nella prospettiva di
una certa apertura dei Taleban verso gli Stati uniti. Tuttavia
non è ancora chiaro, al momento, se l'ordine di espulsione valga
anche per gli otto occidentali dell'ong Shelter Now
International arrestati ai primi di agosto e attualmente
sotto processati con l'accusa di proselitismo cristiano. In
questo caso la mossa potrebbe apparire come una proposta di
scambio.
Oltre agli stranieri, anche gran numero di afghani, specie quelli
di Kabul, Kandahar, Jalalabad e di altri centri abitati, stanno
cercando di andarsene, chi può in Pakistan o in zone meno esposte
dell'Afghanistan, terrorizzati dalla prospettiva dell'imminente
pioggia di missili americani in arrivo. Tanto che lo stesso
leader supremo dei Taleban, il Mullah Mohammad Omar, ha lanciato
ieri un appello attraverso la radio La voce di Shariat in
cui lancia un pressante appello agli afghani e a "tutti i
musulmani del mondo" a "sostenere l'Islam e la loro fede" e a
"difendere l'Afghanistan", in caso di necessità "fino alla
morte". "Voi dovreste sapere che il vero problema non è Osama, ma
è l'opposizione all'Islam", ha affermato Omar ed è "qui" in
Afghanistan "che ci sono i veri musulmani e che si leva la vera
voce dei musulmani". e "loro", gli americani, "sentono questo
come un segnale di pericolo". Per questo, conclude Omar, "ogni
musulmano dovrebbe essere pronto per la jihad", la guerra
santa, ed "essere pronto a sacrificare la propria vita per la sua
religione e per l'Islam".
Ma la drammaticità della situazione è tale che potrebbe portare
anche alla stessa rottura del cordone ombelicale che unisce da
sempre i Taleban con il Pakistan. Mentre anche da Dubai, il
governo degli Emirati arabi uniti - uno dei soli tre stati a
riconoscere il regime dei Taleban (il terzo è l'Arabia saudita) -
fa sapere di volere "rivedere" i propri legami con Kabul e di
essere pronto a schierarsi con Washington. I Taleban hanno detto
chiaro e tondo che se Islamabad offrirà le proprie basi aeree
agli americani, le milizie degli Studenti colpiranno il
Pakistan con un "attacco massiccio". E i settori islamici
pakistani più radicali si sono subito schierati a fianco
dell'Afghanistan. Un problema in più per il presidente Musharraf.