Il nemico "numero uno"
Afghanistan, aprile 2001: le statue dei Buddha di Bamiyan
vengono distrutte dai cannoni Taleban.
PIERGIORGIO PESCALI
Tajikistan, estate 2001: per la prima volta dalla sua fondazione,
l'Imu (Islamic Movement of Uzbekistan) che ha le sua basi nelle
valli del Pamir tajiko, non lancia alcuna offensiva nei vicini
Uzbekistan e Kyrgyzstan. Nessuno sa spiegarne il motivo.
Afghanistan, inizio agosto 2001: sedici membri di Shelter Now
International vengono accusati di proselitismo ed arrestati.
Afghanistan, 8 settembre 2001: una bomba esplode a Kabul
all'interno del Centro Anticrimine del Ministero degli Interni.
Afghanistan, 9 settembre 2001: Ahmed Shah Massud viene gravemente
ferito da due finti giornalisti arabi.
Tajikistan, 9 settembre 2001: il ministro della Cultura del
Tajikistan, fautore della linea dura contro il gruppo islamico
dell'Imu è ucciso a Dushambe.
Torniamo indietro esattamente di dieci anni, al settembre 1991:
con la secessione degli stati del centro Asia si dissolve
definitivamente anche l'ultima parvenza di Unione sovietica.
Stati uniti, 11 settembre 2001: il simbolo economico e militare
dell'unica potenza mondiale vengono colpiti.
Coincidenze? Troppe, per la verità, veramente troppe per non
cercare di analizzarne le eventuali connessioni.
Dieci anni fa moriva uno dei due grandi satana del mondo
islamico: quell'Unione sovietica portatrice di valori
antireligiosi, immorali; quell'Unione sovietica che aveva osato
violare un territorio islamico, sostituendo Marx e Lenin ad
Allah. Dieci anni fa l'Islam esultava insieme al mondo
occidentale: uno dei due peggiori nemici era stato sconfitto. Ne
rimaneva solo uno, il più grande: gli Stati uniti d'America, che
già avevano violato uno dei territori più sacri del mondo
islamico con l'attacco all'Iraq e a Baghdad.
Dieci anni esatti. Ed ecco il nuovo attacco, quello che dovrebbe
far iniziare l'Armageddon finale.
Tutto è stato preparato con cura e precisione dal centro
nevralgico e ideologico dell'Islam più radicale: l'Afghanistan
dei Taleban. O per meglio dire, quella parte di Afghanistan,
preclusa anche ad una parte dei Taleban, che sono i campi di
addestramento di Osama bin Laden. Qui migliaia di combattenti per
la jihad vengono addestrati, non solo ad usare il
kalashnikov, i carri armati, gli elicotteri, gli aerei, le bombe,
ma anche a devastare la rete telematica, a confondere i sistemi
radar, a interrompere linee telefoniche. In questi campi, accanto
agli addestramenti più elementari vengono condotti veri e propri
corsi di tecnologia ultrasofisticata a cui partecipano
guerriglieri provenienti da tutto il mondo, dalla Cina alla
Cecenia, dal Daghestan al Sudan, dal Kashmir all'Algeria.
Il tutto con la protezione del governo Taleban, che paga questo
appoggio con la condanna politica del mondo intero e con pesanti
sanzioni delle Nazioni unite.
Fino ad ora i soldi di Osama bin Laden e delle innumerevoli
ramificazioni internazionali della sua organizzazione, avevano
assicurato la sopravvivenza del regime di Kabul, ma, ironia della
sorte, la crisi internazionale delle borse, e il boicottaggio cui
sono sempre più oggetto le società dell'ex cittadino saudita,
hanno assottigliato il flusso di denaro sino a quasi esaurirlo.
Ed oggi il governo di Kabul sta vivendo uno dei suoi cicli più
travagliati della sua pur breve storia. Fazioni più o meno
moderate dei Taleban, che vorrebbero un ridimensionamento del
radicalismo ideologico per aprire nuovi canali di comunicazione
con l'esterno, stanno alzando la testa. Tra i maggiori fautori
della linea morbida figurerebbero il giovanissimo funzionario del
ministero degli esteri Rahmatullah Hashimi e il Ministro degli
Interni. La lotta interna, sino ad ora, li ha visti sempre
perdenti e la distruzione delle statue dei Buddha di Bamiyan, i
decreti di divieto dell'uso dei mezzi di comunicazione, contro
cui si erano dichiarati, ne sono la prova lampante. L'esplosione
della bomba al ministero degli interni potrebbe essere opera di
questa fazione, a cui Osama bin Laden avrebbe risposto con
l'attentato a Massud, sul fronte interno e con la spettacolare
azione contro gli Usa, su quello esterno. Le grandi forze di
uomini e mezzi necessarie per la realizzazione di queste azioni
dimostrative spiegherebbero l'apparente calma cui l'Imu è stato
costretto questa estate, in parte compensata dall'uccisione del
ministro della cultura Tajika, acerrimo nemico di ogni islamismo.
Sino ad oggi, gli analisti e i servizi segreti consideravano
tutti questi fenomeni slegati tra loro, non riuscendo a dare
delle spiegazioni logiche. Ora sembra davvero che tutti i
tasselli si siano ricomposti. Improvvisamente, come un grande
gioco.