Scontro a Kabul
Continua nel Palazzo di Giustizia di Kabul, il processo agli otto
cooperanti stranieri di Shelter Now International (Sni) accusati
di proselitismo. Dopo la pausa di venerdì, giorno dedicato al
Signore secondo i precetti della dottrina islamica, sabato gli
occidentali sono apparsi per due ore davanti alla Corte Suprema.
Il tedesco Georg Taubmann, direttore dell'ufficio di Kabul di
Sni, prendendo la parola a nome di tutto il gruppo degli
accusati, ha subito attaccato il sistema di giustizia afghano
affermando "non essere stati informati delle accuse rivolte
contro di noi e del perché siamo stati imprigionati. Cosa abbiamo
fatto?". Anche una delle due ragazze statunitensi si è lamentata
del fatto di aver dovuto compilare un documento in cui le domande
erano scritte nella sola lingua afghana, incomprensibile per lei:
"Il mio futuro - ha dichiarato - potrebbe dipendere da quello che
ho scritto su quel pezzo di carta, ma del quale non ho potuto
capire cosa chiedeva".
Ong a processo. E' disaccordo Arabia saudita-Taleban
PIERGIORGIO PESCALI
E mentre gli otto accusati erano in aula giudiziaria, poco
distante, nel Dipartimento Anti-Crimine del Ministero degli
Interni, una bomba esplodeva in orario di lavoro, ferendo diverse
decine di persone. L'ordigno, probabilmente opera di una fazione
dissidente Taleban che si fronteggia con quella più radicale
guidata dalla triade composta dal Mullah Omar, dal Ministro di
Giustizia Mullah Nuruddin Tarabi e dal Capo dell'Esercito Mullah
Mohammad Hassan, potrebbe essere solo la prima di una serie di
dimostrazioni di forza per la conquista del potere a Kabul. In
questo contesto il verdetto del processo, al di là di quello che
accadrà in seguito in questa settimana, potrebbe essere lo
specchio degli attuali equilibri di potere tra i Taleban. Non
sono quindi da sottovalutare le dichiarazioni di domenica del
Giudice Supremo, Mawlawi Noor Mohammad Saqib e del Ministro degli
Esteri, Wakil Ahmed Muttawakil. Il primo, dopo aver affermato,
all'inizio del processo, che "i membri di Shelter Now
International saranno puniti secondo le leggi che hanno loro
stessi violato. Se dovranno essere impiccati, questa sarà la loro
punizione", ha ammorbidito improvvisamente i toni, dicendo che
"la clemenza è una virtù dell'Islam e noi saremo comprensivi sino
a che le nostre possibilità ce lo permetteranno".
Il secondo, martedì scorso aveva perentoriamente negato che ci
fosse in atto un dialogo con Washington per il rilascio dello
sceicco egiziano Omar Abdel Rahman, detenuto dal 1995 nelle
carceri statunitensi con l'accusa di essere l'organizzatore
dell'attentato al World Trade Center di New York, in cambio
dell'estradizione degli otto occidentali. Domenica, invece, lo
stesso Muttawakil ha ammesso che l'Afghanistan potrebbe
considerare l'ipotesi di uno scambio, ma solo dopo la fine del
processo.
L'ipotesi lanciata dal ministro degli esteri di accogliere in
Afghanistan il capo del gruppo a-Gama's Al-Islamiya, non ha certo
accolto il favore dell'Arabia Saudita, la cui famiglia reale
rimane nel mirino del movimento. Così si spiega il rifiuto di
Riyad di intercedere presso Kabul per il rilascio degli
stranieri, chiesto dalle rappresentanze diplomatiche degli
arrestati. Non solo: tramite un portavoce del governo, l'Arabia
Saudita, che è pur sempre uno dei tre soli Paesi che riconoscono
il regime del Mullah Omar, ha inaspettatamente alzato i toni
contro i Taleban: "Il nostro paese ha allentato le proprie
relazioni con l'Emirato Islamico dell'Afghanistan già da diversi
anni, dopo che questo ha adottato una politica terroristica
ospitando diversi terroristi guidati da Osama bin Laden. I
Taleban rifiutano ancora oggi di abbandonare questa politica", si
legge nel comunicato ufficiale.
Il processo a Shelter Now International rischia ora di diventare
una questione internazionale.