M
BRUNO DE FRANCESCHI
Il canto armonico è una tecnica diffusa in varie parti del mondo,
ma che trova la sua espressione più interessante presso le
popolazioni Touva; funziona in modo tale che l'esecutore è in
grado di emettere due o tre suoni contemporaneamente, mantenendo
ferma la nota fondamentale, la quale si trasforma in una sorta di
"bordone", mentre il canto delle componenti armoniche della nota
fondamentale viene modulato in una melodia acuta e avvolgente.
Spiegarlo è un po' freddino, cantarlo e ascoltarlo abbastanza
stupefacente. Passa qualche tempo e Franco Federici mi propone di
lavorare con lui; sono ovviamente interessato, benché non capisca
cosa possa farsene di un musicista, che con la scienza non ha mai
bazzicato. Mi dice che c'è una sorda profonda da "rieducare"
(vedremo poi, nei mesi di lavoro, quanto sia inadeguato questo
termine): è una donna alla quale è stato impiantato nella coclea
un hardware composto di dodici fili e una placca magnetica in
grado di portare un segnale elettroacustico al cervello.
All'esterno una scatoletta e un minuscolo filo che porta a un
microfono applicato dietro l'orecchio, alla placca magnetica.
Colpito dalla mia voce, lo scienziato intuisce la possibilità di
tentare una nuova ricerca: ci incontriamo insieme alla donna
sorda. Mi lascio andare e canto, parlo, modulo, mentre la donna
risponde, partecipa, ci dà informazioni, avviando un cammino che
ci porterà ad approfondire tecniche di comunicazione creativa, a
rifondare linguaggi e codici, a studiare le nostre percezioni e
modi inedite di tradurle. La donna è di una intelligenza
particolarmente viva, dotata di un grande coraggio e di una
notevole determinazione e solo le sue straordinarie qualità
intellettive e umane le permettono di lavorare e di vivere con
tanta tenacia e, a volte, con gioia. L'impianto le consente di
sentire tutto e purtroppo molto forte, ma non di
ascoltare: lo spazio sonoro è stratificato, la risposta
in frequenza allargata ma anche compressa, gli attacchi delle
parole sono tagliati, le M e le N non passano, e
nemmeno la C, la L e altre lettere ancora, ma
noi, da subito, non ce ne interessiamo più di tanto.
I primi mesi passano così, con io che modulo e lei che scrive,
disegna, descrive, parla, ripete, mentre il professor Federici
cerca di capire "che cosa e come sente" la donna. Prende nota
delle nostre performances, che si fanno nel tempo più sciolte,
persino divertenti: faccio il guitto, improvviso ma allo stesso
tempo cerco strade, e spesso mi arrivano "improvvisi" che mi
illuminano. Divento una sorta di "logopedista teatrale", dove la
qualità dell'intonazione, l'energia fisica e mentale vestono la
parola con i colori della comunicazione e del "dramma", dove il
suono della parola - inteso come rapporto tra frequenze e
dinamiche di espressione - non basta più: la parola richiede il
suono della sua storia evolutiva e la donna esige che io mi
comporti così come faccio quando insegno a coloro che sentono
normalmente, nei seminari e negli stages basati sul rapporto tra
corpo e voce.
Ritrovo, nelle risposte della donna, spesso migliori di quelle
che ricevo dagli studenti senza problemi di udito, le meccaniche
consuete, le stesse corrispondenze. L'emissione della voce rimane
una fatto "sconvolgente", e il pudore, la paura di svelarsi si
mostrano in egual misura nel mondo del suono come in quello del
silenzio. La capacità di percezione della donna ha
dell'incredibile: se emetto un suono è in grado di dirmi
perfettamente dove sta risuonando nel mio corpo, quanta aria c'è,
dove e come è uscito dalla mia bocca, come si è spento e ha
smesso di vibrare. Quando sente abbaiare un cane, non "ode" il
suono della sua voce, ma fa in qualche modo "corrispondere" la
qualità di quelle vibrazioni con il movimento della gola del cane
al momento dell'emissione. E straordinaria è pure la sua capacità
di "disegnare" il suono e le sue caratteristiche, nonostante non
abbia alcuna abilità grafica particolare (ma come sa sopravvivere
il nostro cervello!).
Eppure l'esistenza di questa donna è passata dall'essere avvolta
in un silenzio profondo a una sorta di silenzio assordante che la
pervade durante l'intero giorno. Solo di notte, staccato
l'impianto, ritorna nella pace conosciuta, riprende fiato.
Proprio questa sorta di fascia rumorosa e avvolgente ha indotto
la maggior parte degli "impiantati" a staccare i fili e a tornare
alla sordità, nonostante si fossero sobbarcati un costo di decine
di milioni per l'apparecchio e avessero affrontato una
"rieducazione" rivelatasi poi fallimentare.
Ora, dopo mesi in cui lavoriamo insieme, quella che è ormai una
mia amica non scrive più molto: disegna poco ma in compenso
ascolta di più, i nostri colloqui sono ormai intorno all'ottanta
per cento della fruibilità, e si tratta ora di staccarsi piano
piano dalla "qualità" della mia voce per imparare a percepire il
suono "mutato" in un altro codice, in un altro linguaggio, in un
altro corpo. Di recente, abbiamo cominciato a avvicinarci alla
musica, lo richiede più o meno insistentemente lei stessa; è
capitato che, in macchina, lo scaltro Federici mettesse su una
canzone di Mina e mentre l'autoradio suonava, la testa della
donna ondeggiava, finché dalla sua voce, perfettamente intonata,
uscì: "Renato, Renato, Renato..." Ci domandiamo ancora cosa abbia
sentito davvero, cosa abbia tradotto, cosa
succeda in quei miliardi di neuroni sotto stress e in quelle
60.000 connessioni. Indagheremo, il lavoro va avanti, la mia voce
è ancora, per lei, la prima voce e quasi l'unica. Ma presto ne
verranno altre.