Una voce tra i rumori del silenzio

BRUNO DE FRANCESCHI

Una voce tra i rumori del silenzio
Oggi a Città di Castello, nel corso di un convegno sul tema del silenzio organizzato da Paolo Rossi e Laura Dalla Ragione, verrà illustrato il caso di una donna "sorda profonda" al quale hanno lavorato l'autore di questo articolo e il neurobiologo Franco Federici
BRUNO DE FRANCESCHI


Mesi addietro, nel corso della precedente serie di conferenze sul silenzio a Città di Castello, incontro e ascolto uno scienziato il cui fisico sembra rimandare al relativo cliché: occhi prensili, capelli arruffati, dialettica e gestualità pieni di teatro. Franco Federici parla di neuroni, di connessioni, di reti, di evoluzione umana, si agita con un pugno di pennarelli pluricolori e imbratta fogli e lavagna sui quali disegna cervelli di varie dimensioni, trafitti da linee, numeri, parole, forme. Capisco quasi niente, ma mi accorgo che, sia io che la platea seguiamo attentamente la "narrazione" di quella esperienza scientifica. Fine, complimenti, cena. Poi, io acchiappo lui e lui acchiappa me e cominciamo a scambiarci informazioni sui nostri reciproci lavori, fino a che mi obbliga a fargli sentire un esempio di canto armonico, lì, al ristorante.

Il canto armonico è una tecnica diffusa in varie parti del mondo, ma che trova la sua espressione più interessante presso le popolazioni Touva; funziona in modo tale che l'esecutore è in grado di emettere due o tre suoni contemporaneamente, mantenendo ferma la nota fondamentale, la quale si trasforma in una sorta di "bordone", mentre il canto delle componenti armoniche della nota fondamentale viene modulato in una melodia acuta e avvolgente. Spiegarlo è un po' freddino, cantarlo e ascoltarlo abbastanza stupefacente. Passa qualche tempo e Franco Federici mi propone di lavorare con lui; sono ovviamente interessato, benché non capisca cosa possa farsene di un musicista, che con la scienza non ha mai bazzicato. Mi dice che c'è una sorda profonda da "rieducare" (vedremo poi, nei mesi di lavoro, quanto sia inadeguato questo termine): è una donna alla quale è stato impiantato nella coclea un hardware composto di dodici fili e una placca magnetica in grado di portare un segnale elettroacustico al cervello. All'esterno una scatoletta e un minuscolo filo che porta a un microfono applicato dietro l'orecchio, alla placca magnetica.
Colpito dalla mia voce, lo scienziato intuisce la possibilità di tentare una nuova ricerca: ci incontriamo insieme alla donna sorda. Mi lascio andare e canto, parlo, modulo, mentre la donna risponde, partecipa, ci dà informazioni, avviando un cammino che ci porterà ad approfondire tecniche di comunicazione creativa, a rifondare linguaggi e codici, a studiare le nostre percezioni e modi inedite di tradurle. La donna è di una intelligenza particolarmente viva, dotata di un grande coraggio e di una notevole determinazione e solo le sue straordinarie qualità intellettive e umane le permettono di lavorare e di vivere con tanta tenacia e, a volte, con gioia. L'impianto le consente di sentire tutto e purtroppo molto forte, ma non di ascoltare: lo spazio sonoro è stratificato, la risposta in frequenza allargata ma anche compressa, gli attacchi delle parole sono tagliati, le M e le N non passano, e nemmeno la C, la L e altre lettere ancora, ma noi, da subito, non ce ne interessiamo più di tanto.

I primi mesi passano così, con io che modulo e lei che scrive, disegna, descrive, parla, ripete, mentre il professor Federici cerca di capire "che cosa e come sente" la donna. Prende nota delle nostre performances, che si fanno nel tempo più sciolte, persino divertenti: faccio il guitto, improvviso ma allo stesso tempo cerco strade, e spesso mi arrivano "improvvisi" che mi illuminano. Divento una sorta di "logopedista teatrale", dove la qualità dell'intonazione, l'energia fisica e mentale vestono la parola con i colori della comunicazione e del "dramma", dove il suono della parola - inteso come rapporto tra frequenze e dinamiche di espressione - non basta più: la parola richiede il suono della sua storia evolutiva e la donna esige che io mi comporti così come faccio quando insegno a coloro che sentono normalmente, nei seminari e negli stages basati sul rapporto tra corpo e voce.

Ritrovo, nelle risposte della donna, spesso migliori di quelle che ricevo dagli studenti senza problemi di udito, le meccaniche consuete, le stesse corrispondenze. L'emissione della voce rimane una fatto "sconvolgente", e il pudore, la paura di svelarsi si mostrano in egual misura nel mondo del suono come in quello del silenzio. La capacità di percezione della donna ha dell'incredibile: se emetto un suono è in grado di dirmi perfettamente dove sta risuonando nel mio corpo, quanta aria c'è, dove e come è uscito dalla mia bocca, come si è spento e ha smesso di vibrare. Quando sente abbaiare un cane, non "ode" il suono della sua voce, ma fa in qualche modo "corrispondere" la qualità di quelle vibrazioni con il movimento della gola del cane al momento dell'emissione. E straordinaria è pure la sua capacità di "disegnare" il suono e le sue caratteristiche, nonostante non abbia alcuna abilità grafica particolare (ma come sa sopravvivere il nostro cervello!).
Eppure l'esistenza di questa donna è passata dall'essere avvolta in un silenzio profondo a una sorta di silenzio assordante che la pervade durante l'intero giorno. Solo di notte, staccato l'impianto, ritorna nella pace conosciuta, riprende fiato. Proprio questa sorta di fascia rumorosa e avvolgente ha indotto la maggior parte degli "impiantati" a staccare i fili e a tornare alla sordità, nonostante si fossero sobbarcati un costo di decine di milioni per l'apparecchio e avessero affrontato una "rieducazione" rivelatasi poi fallimentare.

Ora, dopo mesi in cui lavoriamo insieme, quella che è ormai una mia amica non scrive più molto: disegna poco ma in compenso ascolta di più, i nostri colloqui sono ormai intorno all'ottanta per cento della fruibilità, e si tratta ora di staccarsi piano piano dalla "qualità" della mia voce per imparare a percepire il suono "mutato" in un altro codice, in un altro linguaggio, in un altro corpo. Di recente, abbiamo cominciato a avvicinarci alla musica, lo richiede più o meno insistentemente lei stessa; è capitato che, in macchina, lo scaltro Federici mettesse su una canzone di Mina e mentre l'autoradio suonava, la testa della donna ondeggiava, finché dalla sua voce, perfettamente intonata, uscì: "Renato, Renato, Renato..." Ci domandiamo ancora cosa abbia sentito davvero, cosa abbia tradotto, cosa succeda in quei miliardi di neuroni sotto stress e in quelle 60.000 connessioni. Indagheremo, il lavoro va avanti, la mia voce è ancora, per lei, la prima voce e quasi l'unica. Ma presto ne verranno altre.

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