Furenti reazioni al boicottaggio Usa
L'isolazionismo di Washington lascia sempre più interdetti.
Dopo l'annuncio di ieri che Colin Powell non avrebbe partecipato
alla "Conferenza Onu per combattere razzismo, discriminazione
razziale, xenophobia e relative intolleranze" per il linguaggio
critico su Israele, arriva l'altra rivelazione: se viene usata la
parola "aborto" nei documenti della conferenza dell'Assemblea
generale Onu del 19 settembre sui bambini, gli Usa non
parteciperanno, perché sostenere consultori per aborto non si
addice alle scelte di Bush jr. Insomma, il paese che più cerca di
affermarsi come leader globale non solo non sostiene l'Onu
pagando i debiti economici accumulati, ma nemmeno con la propria
presenza.
Dopo il no di Washington (e Israele) alla conferenza delle
Nazioni unite a Durban sul razzismo
CAMILLA LAI
Le reazioni al boicottaggio Usa sono state feroci e
internazionali. Manifestazioni di migliaia di persone a Pretoria,
Washington, Città del Capo lanciano da settimane slogan contro
gli Usa e Israele (l'altro grande assente). Amnesty
International non ha nascosto la delusione della mancata
partecipazione di Powell: "Ogni governo dovrebbe mandare la
delegazione più importante poiché il razzismo è un problema
globale, e gli Usa non ne sono immuni". Ancor più critico
l'attivista afro-americano per i diritti civili Jesse Jackson:
"Proprio quando dovrebbe mostrare di avere un governo
multirazziale, Bush sceglie l'isolazionismo. Gli Usa hanno
l'obbligo di far vedere al mondo che si preoccupano delle
questioni importanti, che siano d'accordo o no. In un sistema
democratico, se non si è d'accordo con una risoluzione, si vota
contro, non la si boicotta".
Appena accettò di diventare segretario di stato Colin Powell, il
primo afro-americano con tale incarico, dichiarò che avrebbe
voluto andare alla conferenza. Ma il "sionismo come forma di
razzismo", che minacciava di infiltarsi nella dichiarazione
finale, sconvolse i suoi piani. La parola, che identifica il
movimento sorto per la creazione di uno stato ebraico in
Palestina, venne usata nelle risoluzioni dell'Assemblea generale
Onu dal 1975 e soppressa nel 1991, dopo la conferenza di pace
mediorentale a Madrid. Averla abolita anche dalla bozza di
dichiarazione finale che dovrebbe emergere dalla conferenza non è
servito a garantire la presenza Usa. Ci sono altri eufemismi per
definire l'occupazione coloniale israeliana. E il disinteresse
internazionale per il conflitto ha costretto i palestinesi a
cercare nuovi modi per comunicare con il mondo. Quale occasione
più globale e appropriata che la conferenza Onu? Del resto, nella
bozza di documento incriminata si leggono stralci non così di
parte. Per esempio si esorta a mantenere la memoria storica: "Gli
olocausti/l'Olocausto e la pulizia etnica della popolazione araba
della Palestina storica e in Bosnia e in Kosovo non devono mai
essere dimenticati". Così come si condannano "antisemitismo e
islamofobia" e si riconosce "con profonda preoccupazione
l'aumento dell'antisemitismo e degli atti ostili contro gli ebrei
in varie parti del mondo".
Eppure, per quanto all'ordine del giorno, il conflitto
mediorientale non è l'unico argomento che i delegati di 160 paesi
dovranno sviscerare. Traffico di donne e bambini, migrazione e
discriminazione, discriminazioni di genere e razziali, razzismo
contro i popoli indigeni, tutela delle minoranze, il risarcimento
che gli stati colonialisti che hanno fatto tratta degli schiavi
dovrebbero versare ai discendenti delle vittime e ai paesi che
l'hanno sofferta, discriminazioni sessuali, affirmative
action, pena di morte. Questioni contestate: l'India si
oppone alla fine delle discriminazioni di casta contro gli
intoccabili, i musulmani alla libertà sessuale, e via dicendo.
Gli Stati uniti si sono quindi tagliati fuori da argomenti che
costituiscono il mondo in cui viviamo e dalla possibilità di
contribuire a scrivere una dichiarazione che lo renda migliore.
Reed Brody, di Human Rights Watch, ha detto che
quest'incontro "deve offrire qualcosa di concreto ai rifugiati in
Europa, al tibetano torurato dalla polizia cinese", al bambino
afro-americano che ha tre probabilità in più di diventare (o
rimanere) povero del suo amichetto bianco.