La scuola delle bambine afghane

PESCALI PIERGIORGIO

La scuola delle bambine afghane
Tentativi (riusciti) di lavoro umanitario in Panshir, nell'Afghanistan controllato dagli uomini di Massud
PIERGIORGIO PESCALI KHWAJA BAHAUDDIN (Afghanistan)

Spari di kalashnikov, poi una folla vociante si assembra di fronte alla sede della Croce Rossa Internazionale di Khwaja Bahauddin. Alcuni hanno già raccolto delle pietre, altri stringono tra le mani spranghe di ferro o di legno, altri ancora innalzano al cielo i loro fucili automatici. La tensione è alle stelle: il coordinatore della sezione locale della Cri è accusato di aver venduto ai commercianti alimenti destinati ai profughi di guerra, intascandosi cifre favolose: si parla addirittura di 90.000 dollari.
La polizia di Massud riesce, dopo qualche trattativa, a disperdere la folla, ma il danno d'immagine per le organizzazioni internazionali che operano in questa parte dell'Afghanistan sarà incalcolabile. "Non ci fidiamo più di nessuno" dice Alim Khum, scappato dal proprio villaggio incendiato dai Taleban e da diversi mesi costretto a vivere in una tenda di plastica nel campo profughi sorto a qualche chilometro da Khwaja Bahauddin. "Sono ormai quattro mesi che non riceviamo cibo, e io ho una famiglia da mantenere".
Lo sfruttamento del dolore e delle sofferenze altrui, qui come altrove, è uno degli aspetti più inumani e crudeli della guerra. Mentre da una parte c'è gente che muore, che patisce la fame, dall'altra ci sono persone che si arricchiscono e che acquisiscono sempre più potere.
C'è, però, anche un percorso inverso: seri professionisti che potrebbero condurre una vita agiata nei loro paesi e che, invece, decidono di abbandonare tutto per dedicare la loro esperienza a chi potrà solo ripagarli con un sorriso o con un ringraziamento. Katy, che dirige l'ospedale di Emergency nel Panshir, è una di loro. Già prima di arrivare nella vallata numerose persone mi avevano parlato di Emergency come di una delle migliori Ong presenti in Afghanistan, ma la sorpresa nel trovarmi di fronte a un tale esempio di organizzazione, pulizia e, soprattutto, devozione per il paziente da parte di tutto il personale, è stata superiore a ogni aspettativa. Nonostante la drammatica situazione in cui si trovano i circa ottanta ricoverati (tra cui una quindicina di bambini), molti dei quali con un arto amputato o con una parte del corpo devastata, l'atmosfera è piuttosto serena. "Guerra, religione, tradizione, mancanza di prospettive per il futuro hanno consolidato nella psiche di noi afghani un senso di fatalismo", mi aveva confidato, solo qualche ora prima, il generale Bismullah Khan, Comandante della linea del fronte di Shamali. Queste parole mi tornano in mente ora, mentre osservo il sorriso di una bambina di circa 5 o 6 anni con il braccio amputato ancora fasciato.
Ma l'ospedale di Emergency, oltre a fornire un servizio a chi è stato colpito dalla guerra in atto, sta compiendo un'altra importantissima opera di trasformazione sociale. E la seconda non è meno importante della prima.
Tra le corsie dell'ospedale trovo diverse donne che lavorano come infermiere, tecnici, impiegate e tutte, indistintamente, si tolgono il burqa quando entrano nel compound dell'ospedale, per rimetterselo all'uscita. In questo modo, oltre a "ridare" un volto alla componente sociale femminile, si concede alla donna un ruolo attivo nella comunità e nella famiglia, non più un individuo relegato in casa al servizio dell'uomo. "Sino ad oggi solo una donna, costretta dal marito, ha abbandonato il posto di lavoro", mi confida Katy.
Un altro esempio di lavoro sull'emancipazione femminile lo trovo ancora a Khwaja Bahauddin. Qui Acted, una Ong francese che ha una rete di uffici in tutto l'Afghanistan, sia nella zona di Massud che in quella dei Taleban. Ha avviato un programma di educazione scolastica per bambine assieme con un'associazione umanitaria turca, Turkish People. La piccola scuola ha circa cento studentesse suddivise in quattro classi. Le loro famiglie sono tutte ex rifugiate, provenienti dalle zone nordoccidentali del Paese, a cui Acted ha provveduto a dare alloggi in muratura. Anche qui, come nell'ospedale di Emergency, il lavoro di sensibilizzazione sociale è profondo: "Le insegnanti sono tutte donne, scelte dopo accurate ricerche condotte tra i profughi interni per le loro doti di forte personalità e competenza", mi dice Mohammad Mahir Yaqobi, vice direttore dell'ufficio locale di Acted.
Con Cyrill, il coordinatore dell'intero programma dell'Ong francese nel Nord Afghanistan, visito alcune delle realtà più significative avviate nella regione: un centro agricolo a Barakh dove si avviano progetti di agricoltura alternativa, una cooperativa femminile a Rustaq, un villaggio di circa 500 famiglie di ex profughi interni nel Panshir. Cyrill, innamorato delle poesie di Emily Dickinson e di Pablo Neruda, ha abbandonato una promettente carriera a Parigi per inseguire un sogno: quello di contribuire a cambiare in modo pacifico l'Afghanistan e la sua società tradizionalista. Non so se ci riuscirà. Ma Cyrill, Katy, Mahir ed altre decine di persone come loro stanno tentando e grazie a loro milioni di afghani possono ancora nutrire speranze perché il futuro dei loro figli possa essere migliore del passato e del presente.

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