Maghi e incantesimi dal ghetto dell'India

GIULIA SBARIGIA - ROMA

Maghi e incantesimi dal ghetto dell'India
GIULIA SBARIGIA - ROMA

ADelhi c'è un quartiere, Shadipur Depot, dove abitano 1200 famiglie di artisti, sono maghi, burattinai, illusionisti, danzatori, regalano incanti e illusioni, portano con loro il segreto delle antiche storie. Quattordici di loro sono stati scelti da Roysten Abel per prendere parte al suo spettacolo Beggar's Opera, (dopo il debutto a Edimburgo sarà in Italia il 1 - con contorno di notte indiana - e il 2 settembre al festival di Gibellina) che prende spunto dall'opera settecentesca di John Gay per poi percorre strade lontane.
Il filo narrativo si districa da un libro sui maghi indiani di Lee Siegal che porta un'attrice colombiana sulle tracce del quartiere dove si producono illusioni, dove le caste resistono e diventano pretesto per fomentare rivalità artistiche. Dall'incontro si svela la realtà insieme durissima e poetica della microcomunità di Shadipur Depot.
Il regista, nato nel Kerala da una ricca famiglia, formatosi alla National School of Drama di New Delhi, ci racconta di come la sua ricerca avesse bisogno di trovare il grado di magia necessario perché tra pubblico e attore scaturisse fluida l'emozione. Gli artisti di Shadipur Depot, lo slum di baracche accatastate in cui vivono ai margini della città, gli hanno offerto questa opportunità: "sono loro che mi hanno dato l'anima, ci mettono la vita, per loro è una questione di vita o di morte". Gli artisti di Shadipur Depot conducono esistenze in bilico, dove la realtà sfuma nel dramma. E allora va a finire che pur di guadagnare qualche rupia per poter mangiare svendono la loro arte al turismo, riducendo i loro spettacoli a dimostrazioni di esotismo da consumare tra tè e biscotti e scarsa attenzione e così quanto c'era di archetipa magia nelle saghe di re e divinità recitate e danzate per ore si è dimenticato. Roysten Abel è andato in cerca di quella magia al di là delle performances funamboliche in mezzo al traffico della città, dei numeri di illusionismo che fanno leva sulla superstizione.
E non è un caso che le Orestiadi di Gibellina pruducano il suo progetto, che per il lavoro con gli attori ricorda Pippo Del Bono. E non è un caso che accanto alla fondazione siciliana ci sia l'impegno della Sarthi Asian Foundation, che in questi anni si è occupata di valorizzare e esporatere l'arte della comunità di Shadipur Depot. La loro arte rischia di scomparire, divorata dalla povertà, consumata nel traffico della città con qualche numero di illusionismo, osteggiata dalla polizia che minaccia di mettere in atto la legge del '57 sull'accattonaggio e che invece chiude un occhio in cambio di qualche rupia. Il loro quartire, occupato abusivamente nel '68 dopo un periodo di nomadismo seguito alla peste che aveva fatto scappare gli artisti dal Rajasthan, è appena tollerato (e a suon di rupie) dal governo, e i disperati della città si sono accampati tutt'attorno sfruttando questa tutela minima.

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