L'anno santo del World Pride
Pride. Orgoglio, è questa la parola d'ordine che chiama
lesbiche, gay e transessuali nelle piazze di tutto il mondo.
Milano sabato pomeriggio era un concentrato di anime, bandiere
color dell'arcobaleno, musica, carri e determinazione. Roma anno
2000, era tutto questo più riflettori puntati sull'evento
antagonista al giubileo. E proprio in questo senso, cogliendo le
contraddizioni della città, le isterie della chiesa, e la forte
volontà di esserci degli omosessuali, insieme al fracasso
mediatico cresciuto intorno a questa dicotomia, bandita come
improponibile e inopportuna, che Paolo Pisanelli, filmaker
leccese, costruisce il suo Roma A.D. 000 (nel nome
dell'orgoglio). Il documentario, prodotto da Francesca Cima e
Nicola Giuliano per Indigo film, in associazione con Big Sur e
con la collaborazione di Tele+ (che l'ha mandato in onda ieri
alle 21), proiettato lunedì sera nella sala del Politecnico
Fandango di Roma, segue la scia del precedente Roma A.D.
999. Cioè sceglie strade insolite per ridarci urbanità
sepolte con sguardo tagliente accanto a momenti di euforia
straripante colta con occhio sensibile.
DOCUMENTARIO Su Tele+ "Roma A.D. 000" di Paolo Pisanelli,
un percorso della dura lotta nelle contraddizioni della città
GIULIA SBARIGIA -
ROMA
Un percorso durato otto mesi, girato in betacam e digitale, che
inizia dalla parata militare del 4 giugno per celebrare la festa
della repubblica, afferra la parata, questa indisciplinata e
giocosa, al circo Massimo, si ferma per metabolizzare e prendere
la distanza necessaria per poi riacellerare e vedere cosa è
rimasto dell'esperienza, fino alla chiusura della porta santa.
L'anima della città bigotta e il suo cuore pulsante e sommerso,
storie intime e rivendicazioni di diritti. C'è la mansarda
spoglia di Renata Evans, transessuale brasiliana che sta per
lasciare l'Italia e tornare a casa. Il suo vestito di tulle, da
sposa sotto una pioggia di paillettes, il balcone per l'ultimo
sguardo alla città prima di tuffarsi nella corteo del World Pride
e poi partire. C'è l'energia di Imma Battaglia che si moltiplica
nella complessa organizzazione dell'evento. E' in ufficio, è in
giuria per il concorso al transessuale dell'anno, è incazzata con
il Vaticano, è in piazza contro Haider. C'è l'omofobia della
chiesa che cozza contro il sentire religioso dei gruppi di gay
credenti, cristiani e cattolici.
E ancora l'enfasi della stampa (non sfugge neanche il titolo del
manifesto "meglio morti che gay"), rivolta verso il World
Pride, con attenzione alle polemiche e alla sua vocazione
spettacolare, e con un occhio sempre fisso sui giubilei (degli
agricoltori, dei giovani, degli scienziati...). La violenza di
Forza nuova arrimpicata su viscidi specchi che riflettono un
disprezzo triviale per una sessualità che sfugge al controllo.
C'è la musica di Raffaella Carrà che impazza, in una versione
spagnola ultracult, e le composizioni di Daniel Bacalov. La
riflessione sulle unioni, i matrimoni. "Io sono single per
scelta... però degli altri", spiega bene la difficoltà per le
coppie omosessuali di vedersi riconosciute. E alla fine sembra
proprio che il senso di tutte le polemiche si ribalti e, come nel
gioco di rovesciamenti di Daniele Luttazzi, viene da chiedersi se
celebrare il giubileo nell'anno del World Pride fosse cosa
opportuna.